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L’etica e la mascherina

Periodicamente la filosofa Francesca Rigotti ci diletta sul “Corriere del Ticino” con i suoi “Pensieri di libertà”. In quello pubblicato lo scorso 20 gennaio si è presa forse qualche libertà di troppo. Il bersaglio delle sue critiche è l’obbligo della mascherina, nella fattispecie quello sancito per tutti gli allievi della scuola elementare con una recente decisione del governo ticinese e che il suo attuale presidente Manuele Bertoli ha difeso con l’argomento del “male minore”.

Poiché la filosofa in questione è una mia cara amica, con la quale in passato ho condiviso alcuni interessanti eventi filosofici, la chiamerò semplicemente Francesca. Vale tuttavia anche per me – si parva licet – che magis amica veritas, cioè che più di Francesca sono amico della verità. In effetti da quel pensiero dissento totalmente, così come dagli altri che ha dedicato in questi mesi alla valutazione delle misure adottate per combattere la pandemia. La cosa di per sé avrebbe scarsa rilevanza e la discussione potrebbe essere confinata a uno scambio epistolare privato; se non che la questione è di interesse pubblico. Il pensiero di Francesca potrebbe infatti indurre il lettore a concludere che ci siano argomenti inoppugnabili dell’etica filosofica per censurare l’obbligo della mascherina. Non è però così.

È evidente che per un’etica consequenzialistica, quale è ad esempio l’utilitarismo, la mascherina (anche per i bambini) è il “male minore”. È altresì risaputo che ci sono ottime ragioni per respingere l’utilitarismo. Bernard Williams, che fu una delle menti più fini della filosofia contemporanea, nel saggio citato da Francesca, le illustrava con acume notevolissimo. Molte critiche rivolte all’utilitarismo sono pertanto plausibili. Pensare però che l’etica consequenzialistica valuti il male, anche quello minore, “un tanto al chilo”, come scrive Francesca, è dar prova di scarsa conoscenza dei suoi criteri di calcolo. Sarei tentato di ritorcere l’immagine utilizzata dalla mia amica e applicarla alla sua valutazione dell’etica consequenzialistica.

Nella fattispecie l’argomento del male minore usato da Bertoli non fa una grinza. Se sono raffreddato, è bene che io prenda uno sciroppo contro la tosse, anche se il suo sapore è pessimo. Indossare una mascherina può essere fastidioso, ma la scelta è giustificata dal momento che è uno dei mezzi necessari per evitare di contrarre il Covid -19 e di contagiare altre persone.

Però anche altre teorie etiche provano che indossare la mascherina nei luoghi chiusi o affollati è l’azione giusta.

Francesca cita l’etica deontologica. Ebbene per l’etica deontologica (a differenza di quella consequenzialistica) ci sono certe azioni che in nessun caso è lecito fare, cioè che sono intrinsecamente malvagie (ad esempio mentire o uccidere una persona innocente). È la situazione in cui si trova Jim, nel celebre esempio descritto da Williams e citato da Francesca. Di fronte a queste scelte tragiche, che talvolta segnano la nostra esistenza, etica deontologica e consequenzialismo danno prescrizioni diverse. Per nostra fortuna però, la vita umana è fatta perlopiù di scelte più agevoli, che non comportano di fare comunque il male (cioè, per l’etica deontologica di compiere azioni intrinsecamente malvagie) e nelle quali la nostra integrità morale non è in questione. Indossare la mascherina non è infatti una scelta tragica; anzi, indossarla è un modo per evitare che in futuro coloro che hanno in cura i pazienti di Covid -19 si trovino a dover compiere una scelta tragica (negando a qualcuno le cure necessarie). Il paragone con le circostanze in cui si trova Jim (un paragone che dovrebbe provare che l’obbligo di indossare la mascherina è sbagliato) non è pertanto appropriato.

La teoria etica deontologica più nota è quella kantiana. Ebbene, la terza versione dell’imperativo categorico ci conduce facilmente a giustificare l’obbligo della mascherina. Sostiene infatti Kant che si deve “agire in modo da trattare l’umanità, sia nella tua persona sia in quella di ogni altro, sempre anche come fine e mai semplicemente come mezzo”. Ciò significa che per agire correttamente è doveroso rispettare l’integrità degli altri, riconoscendo la loro autonomia morale. Si tratta di un caratteristico “vincolo deontologico”. Non è dunque lecito fare quello che mi pare (nella fattispecie rifiutarsi di indossare la mascherina), in nome di una nozione arbitraria di libertà e in spregio del valore intrinseco delle altre persone, della loro umanità. Nelle circostanze imposte dall’attuale emergenza sanitaria il vincolo deontologico di indossare la mascherina è pertanto giustificato.

Francesca non cita invece l’etica delle virtù, una teoria di ascendenza aristotelica che nel pensiero contemporaneo ha assunto un rilievo notevolissimo. La domanda tipica che si pone l’etica della virtù di fronte alle scelte della nostra esistenza è: che persona dovrei essere? Qui la questione non riguarda le conseguenze dell’azione (come per l’utilitarismo) o le caratteristiche intrinseche dell’azione (come per l’etica deontologica), ma il carattere morale della persona. Ebbene, che persona sarei, che cittadino o cittadina sarei, se non indossassi la mascherina in un luogo chiuso o affollato? Ovvero: nelle attuali circostanze pandemiche chi è la persona responsabile: quella che la indossa o quella che non lo fa? La risposta a me sembra evidente.

Insomma l’utilitarismo, l’etica deontologica e quella delle virtù approverebbero l’obbligo della mascherina. Per vie diverse, le tre teorie etiche fondamentali giungono alle medesime conclusioni. È un obbligo che metterebbe d’accordo John Stuart Mill, Immanuel Kant e Aristotele, pace Francesca.