In occasione di ogni nomina che il Gran Consiglio si appresta a votare, il tema torna puntualmente a fare discutere, per poi ricadere nell’oblio fino alla prossima elezione. Il dibattito viene sempre focalizzato sul trovare una modalità di nomina dei magistrati che possa essere slegata dalla politica. Le proposte sono molteplici: c’è chi vuole che sia il popolo a esprimersi, ma ciò implica per i professionisti un’estenuante e squalificante campagna elettorale. Su quali basi le cittadine e i cittadini comprenderanno chi è il/la candidato/a maggiormente qualificato/a dal profilo delle conoscenze giuridiche e caratteriali per ricoprire un determinato ruolo di magistrato? Con questo sistema, i candidati saranno realmente estranei a ogni influenza politica? Stessa cosa dicasi se si volesse optare per un sistema dove unicamente determinati magistrati sono eletti dal Gran Consiglio e poi questi, a loro volta, nominano gli altri, oppure ancora, affidare alla sorte, tramite sorteggio, il destino dei candidati.
Siamo certi che in tutte queste opzioni la politica non giocherà alcun ruolo? Io non credo. Dobbiamo essere realisti e ammettere che i candidati, le nomine e la politica saranno sempre in qualche modo legati. Prima di parlare di grandi riforme, ci sono comunque dei correttivi che possono essere messi in atto senza grandi stravolgimenti legislativi. In primo luogo, nella procedura di selezione dei candidati si potrebbe prevedere un iter di esami più specifici da parte della Commissione di esperti e inserire nei bandi di concorso condizioni più specifiche o restrittive. La settorialità dei vari ambiti del diritto impone ai magistrati di possedere anche determinate caratteristiche personali, ad esempio empatia, capacità decisionale e di assunzione delle responsabilità, sopportazione dello stress. Ciò impone che i candidati ritenuti idonei dal profilo giuridico debbano successivamente essere sottoposti ad assessment.
Bisognerebbe altresì rivedere il “Manuale Cencelli”, ossia l’assegnazione pressoché matematica delle cariche agli esponenti dei vari partiti politici secondo il loro peso, che attualmente permette unicamente ai candidati appartenenti ai partiti di governo di accedere alle cariche in magistratura (salvo rarissime eccezioni). Ci sono altre forze politiche in Gran Consiglio che devono essere considerate, poiché rappresentano anch’esse buona parte delle cittadine e dei cittadini ticinesi, ad esempio Udc, Verdi e altri partiti minori. Un altro aspetto fondamentale che bisogna tenere in considerazione nella ripartizione delle cariche è l’importante ruolo della scheda senza intestazione. Alle ultime elezioni cantonali il 25% dei votanti non si è riconosciuto in nessun partito politico. Questo significa che in occasione delle nomine dei magistrati bisognerà lasciare un grande spazio ai candidati che non si riconoscono in nessun partito. In questo modo renderemo anche più attrattive le cariche in magistratura, oggi poco ambite. Infatti ci sono professionisti con grande esperienza sia giuridica che di vita che desistono dal candidarsi, poiché da una parte non si riconoscono in nessun partito e sanno quindi di non avere alcuna possibilità di essere nominati, e dall’altra non vogliono entrare nel circo delle speculazioni e pagare pegno per non essersi “trovati al momento giusto e al posto giusto”.
Come detto, senza grandi stravolgimenti (che richiederebbero decenni per essere implementati), ci sono dei correttivi che si possono adottare per migliorare e rendere più trasparente il sistema delle nomine.