Il Covid in Svizzera, come in quasi tutti i paesi occidentali, ci ha presi impreparati, senza mascherine e altro materiale di protezione, mancavano medicamenti, obbligando, obtorto collo, a chiusure più o meno totali.
Nel confronto europeo dei provvedimenti contro il Covid, il nostro Paese brilla al secondo posto, dopo la Svezia, per l’approccio meno restrittivo: meno settimane di chiusure e meno divieti.
Per contro abbiamo registrato una sovramortalità tra le più alte in Europa: 11mila decessi; 997 in Ticino. Siamo anche in ritardo con le vaccinazioni.
Le chiusure, sebbene limitate a confronto con altri Paesi, hanno provocato un forte rallentamento dell’economia con un aumento di circa 50’000 disoccupati e 1,4 milioni in lavoro ridotto.
Consiglio Federale e Parlamento hanno rapidamente deciso tutta una serie di misure a sostegno dell’economia: 20 miliardi per indennità lavoro ridotto, 7,5 per indennità di perdita guadagno, 2,5 per casi di rigore, 1,5 per aiuti a cultura, sport, stampa, trasporti pubblici, e fideiussioni per aziende, aviazione e sport professionistico per 19 miliardi.
Tirate le somme, la Confederazione ha già speso circa 30 miliardi.
Ciò ha permesso di mantenere posti di lavoro e una massa salariale elevata, che con l’aumento dell’indice dei salari dello 0,8% e la riduzione dell’indice dei prezzi al consumo dello 0,7% ha aumentato il potere d’acquisto dell’1,5% nel 2020. Chiaramente parlo di media Svizzera.
La chiusura dei commerci non essenziali e l’impossibilità di viaggiare all’estero hanno comportato risparmi per buona parte della popolazione che poteva beneficiare dello stipendio completo. Con le aperture questi risparmi stanno gradualmente ritornando nel mercato, facendo ripartire l’economia senza bisogno di particolari programmi di recupero, come invece hanno dovuto fare l’Ue o gli Usa.
Il picco di disoccupazione e di lavoro ridotto registrato nel 2020 sta rientrando, i posti di lavoro vacanti annunciati e le esportazioni sono cresciuti al massimo storico. Il clima di fiducia dei consumatori è nettamente al di sopra dei livelli precrisi. Ci sono settori in cui non si trova personale (gastronomia, informatica...).
Una situazione di forte ripresa economica che ha fatto scattare richieste sindacali per aumenti salariali; in particolare nel sanitario impegnato in prima fila per la cura degli ammalati, in condizioni precarie e che va finalmente sostenuto per ridurre l’acuta carenza di personale.
Chiaramente ci sono altri settori ancora in difficoltà, che subiscono effetti duraturi dalla crisi Covid, da sostenere in modo mirato; prioritario è prevedere la riconversione professionale per chi lavora/va in questi settori.
Programmi di rilancio tipo Recovery Plan non sembrano necessari, la Confederazione con oltre 30 miliardi a sostegno di stipendi, posti di lavoro, casi di rigore e aziende, l’ha già attuato e ha funzionato. Investimenti infrastrutturali oltre a quanto già pianificato devono essere mirati a reali necessità.
Ad esempio, un maggior impegno nel rinnovabile e nel risanamento energetico di edifici, potenziando i mezzi e riorientando una parte dell’edilizia dalla costruzione di nuovi (inutilizzati) alloggi verso il risanamento energetico dell’esistente. Se la crisi economica Covid è superata (sempre che si riesca a controllare la quarta ondata con più vaccinazioni) rimane e si aggrava quella climatica.
Se la Confederazione è riuscita a vincere la prima, possiamo aspettarci che si impegni maggiormente per la seconda.