Ecco alcuni punti critici, venuti alla luce in questi mesi, che meritano di essere ricordati e discussi.
Criticare a posteriori è forse facile, ma è utile e necessario. È bene che il giornalismo faccia il suo mestiere: “cane da guardia pubblico”. Ecco quindi alcuni punti critici, venuti alla luce in questi mesi, che meritano di essere ricordati e discussi.
Anno bisesto, anno funesto. Il proverbio ci ha azzeccato, questo 2020 non poteva iniziare nel modo peggiore. Va però ricordato che l’epidemia, poi diventata pandemia, non è un fenomeno imprevisto. Da anni si sa che il pianeta è a rischio. Significativo l’appello di Bill Gates, fondatore di Microsoft, nel 2015: “Se qualcosa ucciderà dieci milioni di persone, nei prossimi decenni, è più probabile che sia un virus altamente contagioso piuttosto che una guerra. Non missili, ma microbi. Abbiamo investito pochissimo in un sistema che possa fermare un’epidemia. Non siamo pronti per la prossima epidemia”. L’Organizzazione Mondiale della Sanità, assieme a medici e scienziati di mezzo mondo, ha messo in guardia, dopo la SARS e dopo Ebola, sul pericolo incombente di nuove epidemie. La Svizzera ha studiato e aggiornato di continuo il “Piano svizzero per pandemia influenzale” (128 pagine, edizione 2018) ma non ha rispettato le consegne contenute in queste “Strategie e misure di preparazione a una pandemia influenzale”, in particolare per quanto riguarda l’approvvigionamento di mascherine e di disinfettanti o le misure restrittive.
Primo: il numero chiuso alle facoltà di medicina, che è criticato da anni: non si formano medici svizzeri, ritenendo che non ci siano sufficienti posti di praticantato negli ospedali, ma si importano dall’estero, senza garanzie sulla qualità della formazione. Sul delicato tema il Governo ha stanziato un credito di milioni per studiare e valutare per poi correggere: quando?
Secondo: mancano infermiere e infermieri. In merito c’è un’iniziativa popolare pendente, “Per cure infermieristiche forti (Iniziativa delle cure infermieristiche)”, che chiede misure efficaci per contrastare la penuria di personale formato: “La Confederazione e i Cantoni – dice la proposta di articolo costituzionale – riconoscono e promuovono le cure infermieristiche come componente importante dell’assistenza sanitaria e provvedono affinché tutti abbiano accesso a cure infermieristiche sufficienti e di qualità”. L’iniziativa dovrà essere votata il prossimo anno e, dopo quanto accaduto, c’è da immaginare un plebiscito popolare a suo favore.
Terzo punto, e non meno importante: Thomas Zeltner, rimpianto capo dell’Ufficio federale della Sanità pubblica, ha denunciato in uno studio, preparato all’attenzione di Berna, che i Cantoni non sono pronti ad affrontare emergenze, perché non ci sono sufficienti riserve di capacità sia di personale sia di strutture. Il numero dei letti, afferma Zeltner, è insufficiente, ne mancano circa 4 mila in Svizzera. Inoltre, non c’è la necessaria attenzione, da parte dei Cantoni, per i casi di catastrofi o situazioni di emergenza. (T.Zeltner, 18.12.2018)
Errori o leggerezze, in merito ai materiali necessari in caso di epidemie non si contano. La Confederazione si è privata delle riserve di mascherine e di disinfettante. Il 13 febbraio l’Ente Ospedaliero Cantonale comunica su Twitter di aver inviato 17 mila mascherine a Wuhan, come sostegno per l’epidemia che colpisce la Cina. Complimenti per l’altruismo, salvo poi scoprire subito dopo che in Ticino le mascherine mancavano. L’inefficienza elvetica relativa alle mascherine è denunciata da anni e c’è chi ha posto il problema fin dalla metà degli anni duemila. Nel 2007 la deputata socialista Liliane Chappuis ha interpellato il governo: “Se la Confederazione crede all’efficacia delle mascherine di protezione e raccomanda alla gente di portarle, perché non si organizza in modo che tutta la popolazione le abbia?”. La realtà è un’altra: la riserva strategica di maschere utili, per esempio, per il personale sanitario è di 170 mila pezzi, invece dei 745 mila previsti. (L’Illustré, 3.4.2020)
Peggio per il disinfettante. Fino alla fine del 2018 la Confederazione disponeva dalle 8 alle 10 mila tonnellate di etanolo, utili in caso di epidemie. Con la privatizzazione della Regia federale degli alcol, oggi Alcosuisse, la riserva è stata liquidata. La politica liberista ha colpito ancora! (Tages Anzeiger, 6.4.2020)
Il ministro Berset ha ripetuto che si sarebbe fatto un passo alla volta. D’accordo, ma forse considerare con maggiore attenzione ciò che avveniva in Cina e negli altri paesi colpiti dal virus avrebbe potuto anticipare qualche decisione. Il 24 febbraio si è tenuta una riunione dell’Uffico federale della protezione della popolazione dove il delegato della rete nazionale di sicurezza André Duvillard ha dichiarato: “abbiamo ancora molto tempo”. A proposito delle riserve strategiche di mascherine, disinfettanti, ecc., lo stesso Duvillard precisa: “Effettivamente, abbiamo dimenticato che avevamo bisogno di riserve strategiche, un effetto della globalizzazione. In generale, in tutti i campi - energia, alimentazione, medicamenti - le spese della Confederazione sono passate da 307 milioni di franchi nel 1995 a 105 milioni nel 2008”. E si interroga: “Gli ospedali avevano tutti una riserva di maschere di protezione per 4 mesi e mezzo, come prescritto?” E ancora: “La grande domanda da porsi è sapere se le nostre strutture federaliste sono in grado di gestire una tale crisi nazionale”. (Le Temps, 18.4.2020) Anche Daniel Vasella, medico ed ex boss della Novartis, è critico nei confronti del Consiglio federale. Ritiene che dal profilo della comunicazione si potesse far meglio e sul lockdown e la chiusura della frontiera con l’Italia dice che sarebbe stato utile anticipare. Il sucessore di Vasella alla Novartis ha venduto il settore dei vaccini alla GlaxoSmithKline. La dipendenza dall’estero è un problema anche per Vasella, che afferma: “A mia conoscenza oggi in Europa è solo la Sandoz che produce antibiotici”. (Schweizer Illustrierten, 11.4.2020) Sarà necessario correggere questa tendenza che, per incrementare i profitti, ha portato a produrre in Cina.
Chissà se l’emergenza coronavirus fa emergere le competenze o lascia venire a galla le incompetenze? Un dilemma che resta sospeso. Sta di fatto che il dottor Koch è apparso, in più di un’occasione, inadeguato. È venuto a Bellinzona imponendo al Consiglio di Stato di mantenere aperte le scuole quando il direttore del DECS intendeva proporne la chiusura. Troppo buono il nostro governo che ha obbedito pedissequamente. Solo il direttore del DSS De Rosa ha avuto il merito di rivelare: “Dico solo che quando tutto è cominciato, il 25 febbraio, a Berna ci ridevano addosso quando chiedevamo misure restrittive alle frontiere”.
Koch ha compiuto 65 anni il 13 aprile. Ha quindi lasciato il suo posto di capo della Divisione malattie trasmissibili e il Consiglio federale lo ha nominato delegato per il COVID-19. Non sembra che Berna applichi le misure che invitano gli ultrasessantacinquenni a stare a casa o, come dice il nostro Matteo Cocchi, comandante della Polizia cantonale, ad andare in letargo. L’ultima leggerezza del Mister Coronavirus risale al 16 aprile quando, nel corso della conferenza stampa del Governo, ha affermato che i bambini non sono vettori del coronavirus. Una dichiarazione contestata un’ora dopo dal medico cantonale ticinese. La verità, allo stato attuale, è che non c’è chiarezza su questo aspetto ed è grave che il responsabile medico del Consiglio federale affermi ipotesi non ancora convalidate scientificamente. “È bene che i bambini continuino a stare lontani dai nonni“ ha poi detto Berset, per arginare l’ondata di critiche sollevata nell’intero Paese dall’insostenibile dichiarazione di Koch.
Il direttore della Clinica Moncucco di Lugano, Christian Camponovo, denuncia i ritardi e la mancata collaborazione delle autorità: “Il 21 febbraio era il venerdì di carnevale. All’ospedale di Codogno era stato diagnosticato il primo caso di coronavirus in Italia. Mi era bastata questa notizia per farmi dubitare della partenza, l’indomani, per la settimana bianca di carnevale”. È stato poi il 7 marzo che gli operatori della Moncucco e dell’EOC hanno scritto al Governo chiedendo interventi più drastici (Il Caffè 19.4.2020). Infatti, si è lasciato svolgere il carnevale di Bellinzona quando era chiaro che la promiscuità particolare di questa manifestazione avrebbe diffuso il virus. Ora le cifre rivelano che Leventina, Moesano e Bellinzonese hanno la percentuale più alta di contagiati. Un dato che fa dire al capo dell’area medica dell’EOC Paolo Ferrari che, verosimilmente, il carnevale è stato un vettore del virus in Ticino.
Questi istituti hanno ricevuto due lettere, del 13 e del 25 marzo, da parte dell’Uffico del medico cantonale e anche del farmacista cantonale. In queste “Specifiche in merito alla gestione dei casi COVID-19”e sull’uso di mascherine”, si legge: “Affinché vi sia un’elevata probabilità di diagnosi clinica COVID-19 positiva, il collaboratore deve presentare più sintomi tra quelli elencati nella Info med nr. 6 e almeno tosse e/o febbre di o più 38.0 gradi. (…) In caso di infezione accertata da COVID-19 il collaboratore rientrerà dopo 48 ore dalla cessazione dei sintomi e almeno dieci giorni dopo l’inizio degli stessi. Lavorerà al rientro per 4 giorni con la mascherina chirurgica (una per turno). (…) Gli operatori sanitari esposti a casi confermati positivi di COVID-19 (contatto professionale o privato) e che erano senza protezione adeguata al momento del contatto con un caso accertato possono continuare a lavorare utilizzando sempre una mascherina chirurgica e applicando rigorosamente le misure di igiene. (…) Nei contatti ravvicinati con persone senza sintomi respiratori e non appartenenti ai gruppi vulnerabili, il personale sanitario non indossa nessuna mascherina. (…) Nelle farmacie, la vendita al banco non è considerata come contatto ravvicinato”. Non bisognava forse essere più previdenti e imporre le mascherine a tutti fin dall’inizio di marzo? E non si doveva considerare anche gli anziani o gli operatori asintomatici e quindi potenzialmente pericolosi? E ancora, non sarebbe stato opportuno destinare due o tre case per anziani solo ai malati di COVID-19, come ha proposto il direttore di Moncucco Camponovo?
Rileggere e riascoltare quanto detto dagli esperti in questi mesi potrebbe essere divertente, se non fosse tragico. Il 25 febbraio, ad epidemia ormai conclamata, la virologa italiana Ilaria Capua, dice che “è un virus contagioso, ma non pericoloso”, poi affermerà che le mascherine possono essere utili, ma sono come ”la coperta di Linus”. La sua collega Maria Rita Gismondo, dell’Ospedale Sacco di Milano, a febbraio sostiene che il virus è come l’influenza stagionale, che l’anno scorso, in Italia, ha fatto 8500 morti: “È una follia questa emergenza. Si è scambiata un’infezione appena più seria di un’influenza per una pandemia letale. Mi farò fare un ciondolo d’oro a forma di coronavirus, che è bellissimo”. Più tardi, vista l’esplosione della pandemia, dirà che il virus si è modificato. Dalle nostre parti, il medico cantonale ironizza su chi critica il mancato divieto del carnevale Rabadan a Bellinzona, dicendo che ai balli carnascialeschi “è più probabile incantare Miss Mondo che il virus”.