Titolo provocatorio, vero. Nonostante questo, mi sembra il più azzeccato per descrivere il sentimento che la mia generazione prova. Nonostante l’onda verde del 2019, la pandemia e la guerra hanno messo il clima in secondo piano all’interno del dibattito pubblico e, purtroppo, a pagare saranno i giovani. È inaccettabile che, nonostante le evidenze scientifiche e i cambiamenti già osservabili (siccità e mancanza di neve in primis), non si stia agendo concretamente per arrivare al netto zero entro il 2030.
Sono necessarie delle scelte radicali e, soprattutto, una riforma della nostra economia. Negli ultimi anni, infatti, la base non è mai cambiata: l’obiettivo delle aziende non è la sostenibilità ma il profitto e, quest’ultimo, viene perseguito senza badare agli impatti sul pianeta. Dobbiamo iniziare a chiederci se un sistema che mette al centro gli egoismi individuali (e la ricerca del profitto privato a tutti i costi) sia il migliore per risolvere problemi globali. Spoiler, non lo è.
La crescita sfrenata, infatti, non è conciliabile con un’economia sostenibile per le nuove generazioni. In particolare, bisogna andare a ridiscutere uno dei grandi pilastri del neoliberismo: la deregolamentazione. Il clima non è altro che un bene collettivo, nostro e delle prossime generazioni, e non è accettabile che la sua salvaguardia sia messa in discussione per favorire il profitto di aziende private. È necessario che lo stato regoli pesantemente i settori più inquinanti. Perché se il profitto di queste imprese è fatto distruggendo il nostro futuro, non è un profitto che possiamo accettare.
Fino ad ora, però, non è cambiato molto. E noi, di ripetere queste cose, ci siamo anche un po’ rotti il c…