La nuova rettrice dell’Università della Svizzera italiana Luisa Lambertini ha trascorso una parte consistente della sua vita professionale negli Stati Uniti, e in gioventù ha fatto parte (per ben dieci anni!) della Nazionale italiana di pallamano. Questi dettagli biografici, insieme al suo indiscutibile pedigree scientifico, mi fanno sperare che il suo arrivo possa essere l’occasione per alzare il livello del dibattito sulla scuola in Ticino – e mi sto riferendo alla scuola dell’obbligo.
Chiunque conosca appena un po’ gli Usa, o abbia anche solo visto qualche film ambientato in una high school, conosce l’ossessione americana per lo sport scolastico. Alcune esagerazioni potranno anche farci sorridere, ma è un dato di fatto che oltre Oceano attribuiscano la massima importanza a uno sviluppo armonioso di corpo e mente.
Per quanto la pratica sportiva abbia le sue radici in Europa, dove quasi tremila anni fa sono state inventate le Olimpiadi, la situazione al di qua dell’Atlantico è ben diversa. Più che ai filosofi greci, che si allenavano a discutere mentre praticavano la lotta libera, il nostro ottocentesco sistema scolastico è infatti ispirato a una strettissima dottrina cartesiana – con la mente separata dal corpo, e la scuola a occuparsi solo e soltanto della prima.
I problemi legati a questo approccio sono talmente tanti che non c’è abbastanza spazio in questo articolo per elencarli. Mi limito al dilagare dello stile di vita sedentario e dell’obesità, che (al di là di quanto sostenga la nuova religione del "body positive") è un male per gli individui e per la società, visti i costi sanitari che provoca.
La nostra scuola non è un servizio, ma un’istituzione, e come tale va intesa. Il dibattito politico incarnito al quale assistiamo deve scuotersi dalle proprie giravolte e stabilire quale sia il contributo che vogliamo ottenere, come collettività, dalla frequenza scolastica dei nostri figli.
In questa prospettiva, uno dei temi da discutere nei prossimi anni è sicuramente il rapporto fra istruzione e sport, e la ricerca di modi per costruire una scuola incarnata, che sappia coinvolgere il corpo tanto quanto la mente delle nostre giovani e dei nostri giovani.
Come per ogni trasformazione, il primo passo consisterà nel valorizzare ciò che già esiste. Dovremo sicuramente migliorare il dialogo fra istituzioni scolastiche e società sportive: due agenzie educative che, coinvolgendo ovviamente anche le famiglie, dovrebbero costruire un’alleanza capace di definire i rispettivi ruoli, competenze e responsabilità. Bisogna che questi attori si parlino di più e collaborino meglio, per il bene dei giovani che già praticano uno sport.
E per i giovani che oggi non sono coinvolti in attività sportive strutturate? Il lavoro in questo caso richiederà più tempo, ma occorrerà assolutamente evitare che quando non sono a scuola si perdano nelle tentazioni del tempo libero disorganizzato – che siano tentazioni virtuali o reali. Ma questa è davvero un’altra sfida.