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Lavoratori sfruttati, commissariata la Giorgio Armani operations

La casa di moda non avrebbe vigilato adeguatamente sulle precarie condizioni di lavoro negli opifici cinesi che di fatto producono i suoi articoli

Immagine di archivio
(Foto: Carabinieri)
5 aprile 2024
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La Sezione misure di prevenzione del Tribunale di Milano ha disposto l'amministrazione giudiziaria per la Giorgio Armani operations spa, società che si occupa di progettazione e produzione di abbigliamento e accessori del gruppo del colosso della moda, a seguito di un'inchiesta dei pubblici ministeri Paolo Storari e Luisa Baima Bollone e dei carabinieri del Nucleo Ispettorato del Lavoro. Indagine con al centro un presunto sfruttamento del lavoro, attraverso l'utilizzo negli appalti per la produzione di opifici abusivi e il ricorso a manodopera cinese in nero e clandestina.

La Giorgio Armani operations spa, controllata dalla Giorgio Armani spa, sarebbe stata "ritenuta incapace di prevenire e arginare fenomeni di sfruttamento lavorativo nell'ambito del ciclo produttivo, non avendo messo in atto misure idonee alla verifica delle reali condizioni lavorative, ovvero delle capacità tecniche delle aziende appaltatrici, tanto da agevolare (colposamente) soggetti raggiunti da corposi elementi probatori in ordine al delitto di caporalato", spiegano gli investigatori.

Si è potuto accertare, spiegano i carabinieri, che "la casa di moda affida, attraverso una società in house creata ad hoc per la progettazione, produzione e industrializzazione delle collezioni di moda e accessori", ossia la Giorgio Armani operations spa, "mediante un contratto di fornitura, l'intera produzione di parte della collezione di borse e accessori 2024 a società terze, con completa esternalizzazione dei processi produttivi". L'azienda fornitrice, però, "dispone solo nominalmente di adeguata capacità produttiva e può competere sul mercato solo esternalizzando a sua volta le commesse ad opifici cinesi, i quali riescono ad abbattere i costi ricorrendo all'impiego di manodopera irregolare e clandestina in condizioni di sfruttamento".

Un presunto "sistema" che avrebbe permesso "di realizzare una massimizzazione dei profitti inducendo" l'opificio cinese, "che produce effettivamente i manufatti, ad abbattere i costi da lavoro (contributivi, assicurativi e imposte dirette) facendo ricorso a manovalanza ‘in nero’ e clandestina, non osservando le norme relative alla salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, nonché non rispettando i Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro di settore riguardo a retribuzioni della manodopera, orari di lavoro, pause e ferie".

A partire da dicembre 2023 i carabinieri hanno effettuato "accertamenti sulle modalità di produzione, confezionamento e commercializzazione dei capi di alta moda, procedendo al controllo dei soggetti affidatari delle forniture, nonché dei subaffidatari non autorizzati costituiti esclusivamente da opifici gestiti da cittadini cinesi nella provincia di Milano e Bergamo". Sono stati controllati quattro opifici, "tutti risultati irregolari nei quali sono stati identificati 29 lavoratori di cui 12 occupati in nero e anche 9 clandestini". Negli stabilimenti di produzione effettiva e non autorizzata è stato riscontrato che la lavorazione avveniva "in condizione di sfruttamento (pagamento sotto soglia, orario di lavoro non conforme, ambienti di lavoro insalubri), in presenza di gravi violazioni in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro (omessa sorveglianza sanitaria, omessa formazione e informazione), nonché ospitando la manodopera in dormitori realizzati abusivamente ed in condizioni igienico-sanitarie sotto il minimo etico".

Sono indagati per caporalato quattro titolari "di aziende di diritto o di fatto di origine cinese" e nove "persone non in regola con la permanenza e il soggiorno". Infine, sono state comminate "ammende pari a oltre 80'000 euro e sanzioni amministrative pari a 65'000 euro e per 4 aziende è stata disposta la sospensione dell'attività per gravi violazioni in materia di sicurezza e per utilizzo di lavoro nero".

Un sistema che va avanti da anni

Non si tratta di "fatti episodici", ma di un "sistema di produzione generalizzato e consolidato" che riguarda diverse "categorie di beni", come "borse e cinture", e che "si ripete, quantomeno dal 2017 sino ai più recenti accertamenti dello scorso febbraio", con la produzione "della merce a marchio Giorgio Armani" realizzata "in concreto" da "opifici cinesi". Lo scrivono i giudici di Milano nel provvedimento con cui hanno di fatto commissariato per un anno la Giorgio Armani operations spa.

La produzione negli opifici abusivi cinesi di abbigliamento e accessori, venduti poi con marchio Giorgio Armani, era "attiva per oltre 14 ore al giorno, anche nei festivi", con lavoratori "sottoposti a ritmi di lavoro massacranti" e con una situazione caratterizzata da "pericolo per la sicurezza" della manodopera, che lavorava e dormiva in "condizioni alloggiative degradanti". E con paghe "anche di 2-3 euro orarie, tali da essere giudicate sotto il minimo etico". È il quadro che emerge dalle testimonianze degli stessi lavoratori e dagli accertamenti dei carabinieri.

Un'inchiesta che si inserisce in un filone di indagini aperto dalla Procura di Milano sullo sfruttamento del lavoro, che dopo aver toccato grandi aziende di trasporti, logistica, servizi di vigilanza e altri settori, sta approfondendo il mondo della moda. Nei mesi scorsi era stata commissariata dal Tribunale la Alviero Martini spa ed era emerso uno schema simile a quello venuto a galla oggi.

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