L'afroamericano ucciso a Minneapolis era positivo al virus, ma non è stato il contagio a ucciderlo
George Floyd era positivo al coronavirus; a ucciderlo non è stato tuttavia il Covid-19, ma l'agente Derek Chauvin con la complicità di altri tre poliziotti di Minneapolis. Della condizione sanitaria di Floyd si è saputo ieri, giorno della prima commemorazione pubblica resagli da migliaia di persone. La morte del quarantaseienne afroamericano, soffocato a terra da quattro agenti bianchi, è stata di nuovo evocata in manifestazioni nelle principali città statunitensi. "Ho visto molti americani di razze ed età differenti marciare insieme e alzare la loro voce insieme, siamo ad un punto di svolta", ha detto il reverendo newyorchese Al Sharpton, noto leader nella lotta per i diritti civili, poco prima di ricordare la vittima nel grande santuario della North Central University.
La cerimonia è stata officiata all'indomani della svolta nelle indagini, che ha indotto la procura ad aggravare l'imputazione per Chauvin da omicidio colposo a omicidio volontario e ordinato l'arresto dei suoi tre colleghi accusandoli di complicità. I quattro poliziotti sono comparsi davanti al tribunale nelle scorse ore. Come chiedeva la famiglia di Floyd e come reclamano le decine di migliaia di manifestanti che da giorni chiedono una più generale revisione dei rapporti "razziali" negli Usa. Complice il cinismo di Donald Trump, molte manifestazioni si sono risolte in nuove brutalità da parte della polizia, non certo nei confronti dei manifestanti violenti o dei saccheggiatori, ma soprattutto contro cittadini che difendevano l'onore del Paese (come è accaduto a Washington tre giorni fa, per fare strada al presidente che si recava a posare per una foto con la Bibbia in mano). I media locali stimano a diecimila il numero degli arrestati, mentre è fortunatamente contenuto il numero di morti. Al Senato si sta intanto per votare l'abolizione della stretta al collo delle persone fermate, mentre lo stato della Virginia è pronto a rimuovere la statua del generale sudista Robert E. Lee.
I funerali di Floyd si celebreranno domani a Houston, dove era cresciuto. Vi prenderà parte Joe Biden, candidato democratico alle presidenziali di novembre. Assente Donald Trump, assediato nella Casa Bianca non solo dai manifestanti, ma ormai anche dal mondo politico che gli era vicino all'inizio del mandato. Dopo la clamorosa presa di distanza capo del Pentagono Mark Esper sull'uso delle truppe contro i manifestanti, anche l'ex segretario alla Difesa James Mattis ha attaccato il presidente in un intervento su The Atlantic. "Donald Trump è il primo presidente nella mia vita che non tenta di unire il popolo americano, neppure finge di tentare". L'ex generale ha dfinito quella di Trump una leadership "immatura" e ha definito un "abuso di potere esecutivo" lo sgombero della folla davanti alla Casa Bianca per la "bizzarra photo-opportunity" del commander in chief con la Bibbia. Trump ha reagito stizzito su Twitter: "Probabilmente l'unica cosa che io e Barack Obama abbiamo in comune è che entrambi abbiamo avuto l'onore di licenziare Jim Mattis, il generale più sopravvalutato del mondo".
Anche tutti i quattro ex presidenti, da Jimmy Carter a Barack Obama, hanno voltato le spalle a Trump, denunciando il razzismo e schierandosi con i dimostranti. E ieri anche la senatrice Lisa Murkovski ha detto di condividere le parole di Mattis: "Penso che siano vere, oneste, necessarie e tardive", ha osservato, lasciando intendere che potrebbe non sostenere la rielezione di Trump. Messo all'angolo dai segni di un incombente fallimento, Trump si affida alla paura del coronavirus: la Casa Bianca ha ammonito che le proteste di massa per la morte di Floyd potrebbero causare una pericolosissima seconda ondata di contagi. Ma "prima" ci penserà la polizia.