La Corte di Cassazione conferma le condanne per gli imputati arrestati nell’ambito dell’operazione ‘Rinnovamento’. I soldi illeciti riciclati in Ticino
La conferma che la ’ndrangheta si era radicata tra Chiasso e Vacallo l’ha scritta la Corte di Cassazione, nelle motivazioni della sentenza di condanna degli oltre cinquanta imputati arrestati nell’ambito dell’operazione “Rinnovamento” che, coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Milano guidata dal procuratore aggiunto Alessandra Dolci, nel dicembre 2014 aveva portato all’arresto di 57 persone, molte delle quali al servizio della cosca milanese dei fratelli Martino (Giulio, Vincenzo e Domenico), a loro volta legati al potente clan ’ndranghetista Libri-Di Stefano-Tegano.
I giudici della suprema corte, dopo aver riunito in un unico procedimento i processi di primo e secondo grado celebrati a Milano, al termine di un iter giudiziario molto lungo hanno sostanzialmente confermato le conclusioni a cui erano giunti i togati milanesi, incominciando dall’aggravante dell’associazione a delinquere di stampo mafioso. Nelle loro motivazioni i giudici della Corte di Cassazione si soffermano anche sul ruolo di Franco Longo, settantenne molisano residente a Vacallo, indicato come il “cassiere della ’ndrangheta” in quanto braccio finanziario dei fratelli Martino, in particolare di Giulio, mentre con Domenico svolgeva un ruolo operativo. La posizione di Longo era stata stralciata per diventare di competenza delle autorità svizzere.
Nell’ottobre 2017 l’uomo di fiducia in Ticino della cosca Martino è stato condannato dal Tribunale penale federale a cinque anni e sei mesi, oltre al pagamento di una pena pecuniaria di oltre 75mila franchi, in quanto riconosciuto colpevole di riciclaggio di denaro aggravato, ripetuta falsità di documenti e ripetuto inganno nei confronti delle autorità. Fra le condanne confermate dai giudici della Suprema Corte, e perciò diventate esecutive, si evidenziano quelle inflitte ai fratelli Martino: 20 anni a Giulio e Vincenzo, entrambi con precedenti, a Domenico, incensurato, e alla moglie di Giulio Martino. Il ruolo della donna sarebbe stato quello di sovrintendere agli investimenti dei consistenti proventi derivanti dal traffico internazionale di cocaina, in quantitativi industriali provenienti da Santo Domingo. Soldi che nel corso degli anni sono stati investititi a Chiasso, ad esempio con l’acquisto di uno stabile davanti alla stazione internazionale, sotto sequestro cautelativo; a Sanremo (l’albergo Rosa dei Venti) e in Toscana, in un convento dismesso trasformato in un grande residence.
Inoltre, Giulio Martino a Chiasso era entrato nel settore immobiliare, tramite il settantenne molisano di Vacallo e il fratello Domenico, finto frontaliere con permesso G e pure lui a lungo residente a Vacallo. Attività che servivano per riciclare ingenti capitali, provenienti oltre che dal traffico di cocaina e hashish dall’Est europeo, anche da usura ed estorsioni. Ingenti capitali che il “banchiere” della cosca Martino avrebbe trasferito dapprima a Chiasso, poi a Dubai per sottrarli al sequestro disposto dai magistrati milanesi.