Confine

Quel 'testamento' ritrovato del prete ucciso a Como

Esclusione, emarginazione e allontanamento dei sofferenti nelle riflessioni di don Roberto Malgesini, accoltellato per strada

18 settembre 2020
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«Ogni persona lasciata sola, ogni persona che la nostra società emargina» non è una «questione di ordine pubblico o di decoro urbano». È il testo che don Roberto Malgesini, il sacerdote degli ultimi, ucciso martedì mattina in piazza San Rocco a Como da un 53enne tunisino, aveva scritto per le preghiere della via Crucis durante le celebrazioni del Venerdì Santo del 2018 in Valmalenco.

Un testo con un chiaro riferimento - e una critica netta - a certe decisioni amministrative prese dal Comune di Como. Alcuni stralci del testo, uno dei pochi scritti di don Malgesini, è stato anticipato ieri dal quotidiano cattolico l’Avvenire. «A Como - aveva esordito don Roberto per introdurre la preghiera - un gruppo di volontari, soprattutto giovani, specialmente nelle fredde sere d’inverno, dedica del tempo per andare a cercare ai bordi delle strade persone sole, senza fissa dimora, per assicurare loro una parola, una bevanda calda, una coperta. Quest’anno abbiamo chiesto a loro di raccontarci quello che vedono e ascoltano: le testimonianze che ascolterete sono storie di vite fragili, vite di uomini e donne che ogni giorno vivono la strada».

Persone «che non si riconoscono in un mondo che esclude, emargina ed allontana i sofferenti», aveva chiarito don Roberto. Che per la prima stazione aveva scelto la testimonianza di una volontaria: «Ho visto togliere panchine e sanitari in una piccola piazza della mia città (piazza San Rocco, ndr.) dove giovani migranti trovavano un po’ di sollievo durante il giorno (...) Ho visto emettere una ordinanza per scacciare senza tetto che chiedevano un po’ di attenzioni ai turisti e alla gente ricca che festeggiava Natale e il nuovo anno. Ma ho visto anche dei fratelli continuare ad aiutare gli scacciati, passando silenziosi oltre le minacce delle autorità o della maggioranza del popolo».

Una riflessione a cui don Roberto aveva fatto seguire la preghiera: «Ci sono occhi che vedono e passano oltre… e ci sono mani che firmano ingiuste condanne. Ma ci sono Pastori che ci richiamano a vincere le nostre “Paure” per affrontare insieme le fatiche. Ci sono uomini e donne che lavorano per costruire ponti e dialoghi di giustizia. Fa che, sostenuti dalla tua grazia, non scartiamo nessuno». 

Il senso di queste preghiere don Roberto lo spiegava all’inizio, parlando di un popolo di Dio «che crede che l’unica soluzione sia quella di tornare ad ascoltare con il cuore e che l’unico sguardo possibile che possiamo avere è quello di ripartire da chi è ultimo, fosse anche solo del vicino di casa o di chi vive accanto a noi». E di «storie di relazioni, di scambi, di gioie e dolori condivisi che ci ricordano che non esistono separazioni e divisioni. Non esiste il benefattore e il bisognoso di aiuto. Esistono solo fraternità, cura e l’affetto reciproci». Queste preghiere possono essere considerate il testamento di don Roberto.