La vittoria di Donald Trump alle recenti elezioni presidenziali statunitensi è stata netta: il candidato repubblicano ha superato con grande margine la soglia dei grandi elettori necessari per ritornare alla Casa Bianca e allo stesso tempo il suo partito ha ottenuto la maggioranza in entrambe le camere del Congresso. Il cosiddetto “red sweep” si è dunque avverato nonostante i sondaggi della vigilia indicassero un tirato testa a testa tra Trump e la candidata democratica Kamala Harris. Grazie al risultato ottenuto Trump ha la strada spianata per la realizzazione della sua agenda politica che prevede tra le altre cose l’introduzione di dazi sulle importazioni e tagli fiscali.
I mercati hanno reagito in maniera contrastante all’elezione di Trump. Da una parte i listini azionari euforicamente al rialzo, anticipando un’imposizione fiscale per le aziende più leggera e in generale regolamentazioni meno stringenti. Nel frattempo, un po’ di entusiasmo è già sfumato, ma il trend positivo continua. D’altro canto, i tassi d’interesse sui mercati dei capitali sono aumentati: in particolare il rendimento dei titoli di stato a 10 anni è ritornato stabilmente al di sopra del 4 per cento. La sua evoluzione è un termometro delle aspettative del mercato, che si attendono principalmente due effetti dalle politiche di Trump. In primo luogo, l’introduzione dei dazi causerà un’inflazione maggiore e quindi la Federal Reserve dovrà diminuire il livello dei tassi più lentamente. Inoltre, i tagli fiscali andranno a peggiorare ancor di più la già precaria situazione del debito pubblico americano, inducendo gli investitori a richiedere premi di rischio maggiori.
La prospettiva di tassi a un alto livello più a lungo, mentre altre banche centrali come la BCE e la BNS procedono a ulteriori tagli, ha rafforzato temporaneamente il dollaro, interrompendo così il rally dell’oro dai massimi storici, il quale tende a diminuire quando il biglietto verde si apprezza.