Speciale Economia

Specifico o sistemico?

Imperniate su tassi d’interesse nulli e ingenti acquisti di titoli obbligazionari, le politiche monetarie ultra-espansive adottate nel 2020 negli USA e nell’Eurozona per contrastare la pandemia hanno inondato le banche di depositi. Nel 2022, l’inflazione elevata ha generato un rapido dietrofront: rialzo rapido dei tassi d’interesse e riduzione del bilancio. Iniziato prima negli USA, questo processo ha avuto un impatto dapprima positivo sui margini d’interesse. Poi però le banche che avevano piazzato la liquidità eccedente in Treasuries lunghi hanno subito minusvalenze, i depositi hanno iniziato a migrare verso investimenti più remunerativi e il rifinanziamento è diventato più oneroso, contraendo i margini. Negli ultimi tre mesi, tre banche hanno sofferto di corse agli sportelli e sono fallite, un’altra ha cessato l’attività. L’inflazione elevata richiede che la Fed resti restrittiva ancora per un certo tempo. La pressione sui depositi e sui margini quindi continuerà. Vedremo una crisi bancaria di portata sistemica? Risposta negativa. Il calo dei depositi non può continuare oltre un certo limite. Tutti abbiamo bisogno di depositi bancari per effettuare transazioni o come riserva. Le banche più grandi e diversificate vedranno aumentare i depositi in un gioco a somma zero a scapito degli attori più piccoli o fragili. Nell’Eurozona, la parte dei depositi nei fondi passivi delle banche è inferiore agli USA, la BCE è stata meno aggressiva negli acquisti di obbligazioni e nel rialzo dei tassi, ma le imprese dipendono maggiormente dai finanziamenti bancari. Maggior competizione e pressioni sui margini spingeranno le banche a irrigidire le condizioni di concessione dei crediti. Non vedremo un “credit crunch” o forti contrazioni dei crediti come durante la crisi del 2008. La trasmissione delle politiche monetarie restrittive alle imprese e, a cascata, nell’intera economia preannuncia comunque una fase di contrazione dell’economia.