Nel 2022, le grandi imprese quotate che dominano i listini negli Usa, nell’Eurozona e in Svizzera hanno trasferito l’elevata inflazione sui prezzi di vendita. L’attività economica ha mostrato resilienza. In Europa, il rialzo del dollaro ha migliorato i risultati delle società internazionali. Nel complesso, gli utili hanno quindi tenuto e la redditività è rimasta a livelli elevati. La fase di contrazione dell’attività ampiamente attesa per la prima parte del 2023 dovrebbe logicamente comportare un peggioramento dei risultati delle aziende quotate. Dal punto di vista delle banche centrali, la soluzione del problema dell’inflazione richiede pure una temporanea sospensione del "pricing power" delle imprese. Tali prospettive non trovano per ora riscontro nelle previsioni degli analisti finanziari. Vedono gli utili stagnare nella Zona euro e perfino salire negli Usa e in Svizzera. Il 2023 sarà quindi caratterizzato da delusioni sul fronte delle imprese, specialmente nell’Eurozona. Limiteranno il potenziale di rialzo delle azioni nella prima parte del 2023. Gli investitori, spingendo i prezzi nettamente al ribasso durante il 2022, hanno invece adottato un atteggiamento realistico. Le misure di valutazione come i rapporti prezzi su utili riflettono oggi prospettive di crescita per il medio periodo piuttosto nella norma, non attese da boom come 12-18 mesi fa, ma neppure depresse come dieci anni fa. Sono compatibili con un’usuale fluttuazione congiunturale, contrazione seguita da una ripresa dell’attività, non con una grave crisi caratterizzata da una perdita durevole nella crescita. È un’ipotesi ragionevole che porta a escludere nuovi forti ribassi dei mercati azionari nei prossimi mesi e permette nel contempo di prevedere un recupero durevole dei prezzi nella seconda parte dell’anno. Dopo le sofferenze del 2022, l’investitore azionario potrà adottare un orientamento costruttivo nel 2023.