Tassazione e telelavoro dei frontalieri, lista dei paradisi fiscali, accesso al mercato finanziario: c’è ancora parecchia strada da fare
In questi ultimi decenni i rapporti fiscali tra Italia e Svizzera sono stati spesso contraddistinti da tensioni, a volte anche importanti. Per una questione di chiarezza, necessaria in un contesto così complesso, è opportuno tener conto della Roadmap del 23 febbraio 2015, sottoscritta tra i Governi dei due Paesi al momento in cui supponevano di aver trovato un’intesa politica volta a risolvere le diverse questioni fiscali rimaste in sospeso, quali, segnatamente, l’abolizione del segreto bancario, lo scambio automatico di informazioni, la procedura di regolarizzazione fiscale (una sorta di amnistia), lo stralcio della Svizzera dalle liste nere italiane, l’accesso al mercato finanziario italiano da parte delle banche svizzere e la revisione dell’accordo sulla fiscalità dei frontalieri. Ci si deve chiedere a distanza di quasi un decennio se questi obiettivi sono stati raggiunti oppure hanno segnato il passo.
Le mutate condizioni economiche, sociali e giuridiche hanno spesso dato origine a contrasti, a volte anche vivaci, tra i due Paesi per quanto attiene alla fiscalità dei lavoratori frontalieri. È quindi opportuno esaminare singolarmente l’evoluzione dei diversi ordinamenti tra i due Paesi dal 1974 a oggi.
Contestualmente alla conclusione della convenzione contro le doppie imposizioni tra Svizzera e Italia è stato sottoscritto nel 1976 l’accordo sui frontalieri retroattivo al 1974. Dalle imposte incassate esclusivamente dai Cantoni di Ticino, Vallese e Grigioni doveva essere riversato il 40% (poi sceso al 38,8% dal 1985) ai Comuni italiani di frontiera. Con il passare degli anni, questo accordo è diventato sempre più inadeguato. Infatti, al momento della sua conclusione, l’Italia non poteva tassare il reddito del lavoro dipendente conseguito all’estero dai propri residenti, poiché lo stesso era considerato esente dal diritto interno italiano. A partire dal 2003, l’esenzione è stata stralciata per cui anche i redditi del lavoro estero sono imponibili in Italia. Con la conclusione da parte della Confederazione nel 2007 di un accordo con l’Austria, che limita il ristorno delle imposte al 12,5%, si è palesata una disparità di trattamento, a danno anche del Ticino, poiché all’Italia il ristorno è molto più rilevante.
Per i motivi indicati sopra si è fatta sempre più pressante l’esigenza di modificare l’accordo del 1974. A tal fine, i negoziatori dei due Paesi hanno convenuto di firmare, a seguito della Roadmap, un nuovo accordo nel dicembre 2015. Sulla base di questo testo, la Svizzera avrebbe dovuto trattenere una parte consistente delle imposte prelevate sui salari conseguiti dai frontalieri. I salari sarebbero anche stati tassati in Italia, dove la progressività delle aliquote è molto più accentuata di quelle svizzere. La doppia imposizione sarebbe poi stata eliminata con il riconoscimento del credito delle imposte svizzere in Italia. L’illusione di aver trovato finalmente una soluzione ragionevole per il Canton Ticino non ha però avuto un seguito concreto, poiché i frontalieri, con il sostegno dei sindacati e dei deputati del Nord Italia, non hanno accettato di essere tassati sul reddito del lavoro (anche) in Italia. Di conseguenza, il Governo italiano non ha dato seguito a questo progetto di accordo, per cui si sono dovute riaprire le trattative tra i due Paesi.
Dopo uno stallo di cinque anni, i Governi dei due Paesi hanno firmato nel dicembre del 2020 un accordo che in sostanza ha accolto le richieste italiane suddividendo i frontalieri in due categorie: quelli che sono attivi sul mercato del lavoro ticinese prima dell’entrata in vigore dell’accordo (cd. vecchi frontalieri), il cui salario continuerà a essere tassato solo in Svizzera, e quelli che inizieranno la loro attività professionale dopo l’entrata in vigore dell’accordo (cd. nuovi frontalieri), il cui salario sarà tassato anche in Italia. Il carico fiscale per i nuovi frontalieri sarà molto più elevato rispetto a quello dei vecchi frontalieri, poiché, come indicato, le aliquote italiane sono molto più progressive di quelle svizzere. Con l’accoglimento da parte della Svizzera di questa nuova impostazione, tutte le richieste fiscali dell’Italia sono state soddisfatte.
Nel 2020 la pandemia da Covid-19 ha accelerato l’utilizzo del telelavoro da parte dei lavoratori dipendenti. Di conseguenza, molti frontalieri impiegati presso aziende svizzere hanno svolto la loro attività sia dalla propria abitazione in Italia sia presso gli uffici del datore di lavoro. L’attività lucrativa svolta in entrambi gli Stati ha posto degli interrogativi riguardanti la facoltà impositiva dei salari di Italia e Svizzera. Per ovviare a questo problema le autorità fiscali hanno concluso un accordo amichevole sul telelavoro nel giugno 2020. Secondo tale accordo, il reddito del lavoro ha continuato a essere assoggettato a imposizione esclusiva in Svizzera sulla base dell’accordo del 1974, tuttora vigente, anche durante i giorni di telelavoro in Italia.
Con la cessazione dell’emergenza Covid-19, il 22 dicembre scorso i due Paesi hanno abrogato con effetto al 1° febbraio di quest’anno l’accordo amichevole del giugno 2020. Si apre quindi un nuovo scenario giuridico che pone tanto i frontalieri quanto le aziende svizzere, che danno loro lavoro, in una situazione di grave incertezza:
La Svizzera, in base al decreto del 1990 dell’allora Ministro delle Finanze Rino Formica, è stata inserita nella lista nera dei Paesi considerati paradisi fiscali. Oggi la Svizzera, nonostante conceda tutte le informazioni fiscali all’Italia, è ancora considerata un paradiso fiscale per quanto riguarda i cittadini italiani che intendono trasferirvi la loro residenza. Per questi soggetti è prevista, ai sensi dell’art. 2 comma 2bis del Testo unico delle imposte sui redditi, l’inversione dell’onere della prova. L’inclusione della Svizzera in questa lista nera non ha più nessun fondamento dal momento in cui è caduto il segreto bancario. Infatti, la Svizzera ha aderito agli standard internazionali in materia di assistenza fiscale introducendo lo scambio di informazioni, anche bancarie, su domanda con l’Italia dal 2015 e quello automatico con l’Unione europea dal 2017, che hanno decreto la fine del segreto bancario. Non è quindi più giustificabile che la Svizzera sia ancora oggi considerata un paradiso fiscale, a maggior ragione dopo l’impegno politico sottoscritto dal Governo italiano con la Roadmap.
Secondo la Roadmap del 2015, i due Paesi avrebbero dovuto studiare la possibilità di consentire alle banche svizzere di svolgere le loro attività anche su suolo italiano. A distanza di poco meno di dieci anni, questo impegno, soprattutto per volontà italiana, è stato completamente disatteso.
I rapporti fiscali tra i due Paesi sono ancora irrisolti su questioni fondamentali. Restano insolute, ponendo interrogativi inquietanti, oltre alle conseguenze riferite all’abrogazione dell’accordo amichevole sul telelavoro, la permanenza ingiustificata della Svizzera nella lista nera italiana e il mancato accesso al mercato finanziario italiano per le banche svizzere. Il nostro Paese in questo ultimo decennio ha accolto tutte le rivendicazioni di natura fiscale dell’Italia e si trova quindi in una difficile situazione, poiché dispone di una limitata capacità contrattuale, quando dovrà affrontare i prossimi negoziati con l’Italia.