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‘Wasted Land’, il colonialismo dei rifiuti e la fast fashion

In scena al Lac lo spettacolo di Ntando Cele che denuncia con forza l'ecologismo occidentale che dimentica le proprie responsabilità

Wasted Land
(Claudia Ndebele)
12 dicembre 2024
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Le rare volte che non abbiamo la nostra borraccia riutilizzabile stiamo ben attenti a riciclare le bottiglie in Pet, abbiamo messo al bando le cannucce di plastica, raccogliamo diligentemente i vestiti usati per il riutilizzo dei tessuti, presto compreremo un’auto elettrica… sappiamo che non basterà a invertire le sorti della crisi climatica in corso, ma questi piccoli gesti quotidiani sono il nostro contributo alla lotta contro il cambiamento climatico, il nostro modo di fare la cosa giusta. Ma sono anche il modo con cui possiamo distogliere lo sguardo dalle ingiustizie globali su cui si reggono la nostra società e il nostro sistema economico. ‘Wasted Land’ dell’artista sudafricana Ntando Cele ci costringe a guardare queste ingiustizie. Prodotto dal teatro Vidy di Losanna e in scena mercoledì sera al Lac, che lo ha coprodotto insieme a diversi partner, lo spettacolo è una vivace e rapsodica riflessione che usa la fast fashion – l'industria della moda basata sulla produzione massiccia di abiti a basso costo, destinati a essere indossati poche volte e poi gettati – come specchio delle contraddizioni dell'ecologismo occidentale, ironicamente definito “feel-good”.

‘Wasted Land’ si apre con uno scenario post-apocalittico: il pubblico, seduto su una tribuna sul palco del Lac, si è trovato di fronte due colline di vestiti illuminate da una luce aranciata, mentre video proiettati su un grande schermo mostrano orizzonti aridi e deserti. In questo mondo devastato dal collasso climatico, Ntando Cele avanza con un fagotto di vestiti sulla testa: è una portatrice, come quelle che oggi, prima di questa futura guerra climatica, in Ghana raccolgono dalla discarica gli abiti usati, i “vestiti degli uomini bianchi morti”, per rivenderli al mercato. Intorno a lei, tre cantanti (Brandy Butler, Françoise Gautier e Steffi Lobréau) formano un coro che, come nella tragedia greca, dà voce alla sua coscienza e alla memoria degli antenati. Ma non è credibile che l’unica sopravvissuta all’apocalisse sia una donna africana, non è una storia nella quale il pubblico occidentale si può riconoscere e così si cambia registro: una sfilata di moda, una veglia funebre, una messa gospel, fondendo il teatro con performance art, concerto e la video-arte, grazie al notevole lavoro del costumista Rudolf Jost e alle composizioni del musicista egiziano Wael Sami Elkholy.

Ntando Cele passa, con umorismo corrosivo, dal canto alla provocazione diretta del pubblico. In un momento particolarmente forte dello spettacolo, abbandona la finzione teatrale per confrontarsi direttamente con il pubblico, per mostrare la realtà dei vestiti “donati” che finiscono per avvelenare terre e vite lontane, in quello che gli studiosi chiamano “colonialismo dei rifiuti”, per mostrare l’insensatezza dei discorsi sul futuro del pianeta quando una parte di quel pianeta non ha neanche un presente. Poi, sapendo che non si è abituati a sentire la voce di una donna nera che esce dai ruoli prestabiliti di vittima da salvare o di folklore esotico per alleviare le nostre coscienze, Cele intona una canzone “per rassicurare le vostre coscienze bianche”.

‘Wasted Land’ è uno spettacolo che scuote e disturba, ribaltando la narrazione occidentale e mostrandoci una sopravvissuta che non vuole la nostra pietà ma ci chiede conto delle nostre responsabilità. Non è un'esperienza teatrale confortevole, per la forma e per i temi, ma proprio questo è il suo punto di forza.