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Via del Popolo, la cronaca di un’appartenenza perduta

Da cuore pulsante di una comunità calabrese a strada spopolata nello spettacolo di Saverio La Ruina in scena mercoledì 16 ottobre al Teatro Foce di Lugano

Premio Ubu 2023
15 ottobre 2024
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Se vi trovaste a passeggiare per Via del Popolo oggi, probabilmente vi domandereste se Google Maps vi ha portato fuori strada. Le botteghe sono sparite, le saracinesche abbassate, e quello che un tempo era il cuore pulsante di una comunità calabrese è oggi una via spopolata. Non è proprio un’immagine da cartolina, ma Via del Popolo, lo spettacolo di Saverio La Ruina in scena al Teatro Foce di Lugano mercoledì 16 ottobre (20.30), sembra non avere l’obiettivo di diventare un necrologio per il “bel tempo andato”. Piuttosto, è presentato come una riflessione su come il tempo e la globalizzazione abbiano ridotto le relazioni umane a un triste addio lasciato sulla segreteria telefonica.

Vincitore del Premio Ubu 2023 come miglior nuovo testo italiano, Via del Popolo esplora la storia di una piccola strada di provincia nel Sud Italia, un microcosmo di trasformazioni sociali che riflette l’evoluzione (o l’involuzione?) di un’intera società. La Ruina, attore, regista e drammaturgo calabrese, non certo sconosciuto per chi segue il teatro contemporaneo italiano, porta in scena qualcosa di molto diverso: non solo il racconto di una strada del Sud Italia che un tempo brulicava di attività – due bar, tre alimentari, un cinema – ma soprattutto una riflessione sul cambiamento, sul tempo e, soprattutto, su chi siamo diventati nel frattempo.

La strada, racconta La Ruina, è quella dove «sono cresciuto e dove tuttora vivo», e che è cambiata radicalmente negli anni. «Da bambino – ricorda – questa via brulicava di attività commerciali: un cinema, una trattoria, negozi di alimentari. Adesso, di questo non è rimasto nulla». Ma invece di indugiare nel sentimentalismo, La Ruina ci invita a considerare cosa sia davvero cambiato e come quel desiderio collettivo di “progresso” abbia consumato, pezzo dopo pezzo, ciò che di intimo e umano queste comunità rappresentavano.

Via del Popolo è un racconto di appartenenza alla famiglia, alla comunità, a un luogo che si conosce da sempre ma che, come tutti i luoghi, è destinato a cambiare. In quei duecento metri si giocano le relazioni con il padre, l’iniziazione alla vita, alla politica, all’amore. Due uomini attraversano la strada: uno, uomo del passato, impiega 30 minuti per percorrere 200 metri; l’altro, uomo del presente, ne impiega solo due. No, non è un problema di traffico. «L’uomo di un tempo impiegava 30 minuti perché veniva continuamente richiamato da persone, situazioni, magari incrociava uno sguardo per una possibile relazione futura», spiega La Ruina. «Oggi invece, l’uomo impiega due minuti, passa e non trova più nessuno». Un cronometro che scandisce i passi dei due uomini è un chiaro simbolo del nostro distacco da un passato. «Paragono Via del Popolo a una Spoon River volata in pianura», dice il regista, alludendo alla celebre antologia di Edgar Lee Masters.

La Ruina non si limita a lavarsene le mani con «non c’è più il calzolaio sotto casa» o un invito a tornare indietro. «Non è una questione di nostalgia – precisa –. Il progresso ha portato cose importanti, ma è anche vero che forse abbiamo perso il senso di comunità». Siamo di fronte a un processo di smantellamento delle relazioni umane, fagocitate dai centri commerciali e dalla globalizzazione che hanno sostituito quelle botteghe, trasformando i quartieri in luoghi anonimi e impersonali.

Eppure, non è tutto grigio e pesante. La Ruina vuole mantenere una certa leggerezza, che evita di far scivolare lo spettacolo nel lamento nostalgico. «C’è tanta ironia. Secondo me, conoscere ed essere consapevoli ci dà la possibilità di non perdere di vista certe cose. Se non ne perdiamo completamente il contatto, possiamo ancora richiederle, volerle, parlarne. Altrimenti, il mondo va inevitabilmente verso dove la facilità di far circolare la moneta prevale, a scapito delle relazioni umane».

Se un tempo, alla domanda ‘A cu appartènisi?’ (a chi appartieni?), i vecchi del paese potevano tracciarti l’albero genealogico completo – magari aggiungendo anche qualche soprannome e pettegolezzo – oggi ci muoviamo come perfetti sconosciuti nelle nostre città, riflessi moderni e spopolati della Via del Popolo di La Ruina. Quindi, che cosa resta di quella strada? Come un vecchio cronometro che continua a ticchettare, anche senza spettatori, ci ricorda che le radici, una volta perdute, non si rimettono in moto così facilmente.

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