laR+ Venezia 81

‘M - Il figlio del secolo’, Mussolini parla a noi

La serie, con un Luca Marinelli necromantico senza essere mimetico, non è stata solo una bella sorpresa, ma forse la cosa migliore del festival

Luca Marinelli è Benito Mussolini
6 settembre 2024
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Sembrava un azzardo da parte di Sky affidare la trasposizione televisiva di ‘M - Il figlio del secolo’, voluminoso caso letterario di Antonio Scurati sulla vita di Benito Mussolini, al pur celebrato regista inglese Joe Wright. Non solo perché gli italiani sono notoriamente più gelosi delle loro tragedie che dei loro successi, ma perché Wright è un autore dalle radici teatrali, che al cinema si è fatto apprezzare soprattutto per gli adattamenti letterari in costume, da ‘Orgoglio e Pregiudizio’ a ‘Espiazione’, fino al più recente ‘Anna Karenina’. Cosa potevano avere in comune Scurati e Jane Austen, Mussolini e Vronskij?

Ci sbagliavamo: la vita di Benito Mussolini, a ben pensarci, non è altro che una storia di travestimenti, seduzioni e tradimenti; un dramma da camera affacciato sulla folla e i suoi umori. Gli 8 episodi di ‘M - Il figlio del secolo’ proiettati in anteprima a Venezia 81 raccontano la parabola di Mussolini dagli albori dei fasci da combattimento al delitto Matteotti, con un Luca Marinelli necromantico senza essere mimetico. Non sono stati soltanto una bella sorpresa, ma forse la cosa migliore di tutto il festival.

Come spesso accade con Joe Wright, fin dalle prime inquadrature si ha la sensazione che la manopola del volume espressivo sia stata alzata ai massimi, e che lì resterà fino alla fine. Tutto è coreografato, saturo, teatrale, i cinque sensi vengono radunati e allo spettatore si richiede una partecipazione olistica, totalitaria. Il mefistofelico monologo iniziale che Marinelli-Mussolini rivolge direttamente allo spettatore (“anche voi mi amerete, anche voi diventerete fascisti”) chiarisce subito il senso dell’operazione: ‘M’ è un’opera dichiaratamente manipolativa, perché è un’opera sulla manipolazione.


Marinelli con Vincenzo Nemolato (sx)

Joe Wright, con gli sceneggiatori Stefano Bises e Davide Serino, sceglie di non nascondersi né dietro la presunta neutralità della ricostruzione storica né dentro l’ormai vacillante edificio della memoria antifascista. A cadere è la quarta parete, Mussolini parla direttamente con noi, e continuerà a farlo per tutti gli 8 episodi, in un trompe l’oeil tanto elegante quanto efficace: quello che vediamo sullo schermo, cioè gli intrighi politici, la retorica, è messinscena. Ed è solo nel momento in cui Mussolini guarda nella macchina da presa, cioè nel momento in cui formalmente la recita si mostra in quanto tale, che abbiamo accesso alla volgare verità dei suoi pensieri, alla bassezza dei suoi istinti.

Da un lato questa scelta veicola uno dei concetti fondanti della serie, quello del fascismo come grande rappresentazione, grande mistificazione messa in scena da un guitto col talento dell’improvvisazione. Dall’altro è anche una dichiarazione d’intenti: nonostante l’accuratezza storica ereditata dal lavoro di Scurati, in ‘M - Il figlio del secolo’ tutto è verosimile, ma nulla è realistico. L’Italia del 1921 è un puzzle di set che vanno dal gotico al musical stile I Miserabili, Mussolini si rivolge direttamente allo spettatore da un luogo impossibile, con consapevolezze successive alla sua morte e con un linguaggio da politico odierno. Qualsiasi elemento della politica o della società di un secolo fa che possa intralciare lo spettatore di oggi viene estirpato, o ricoperto da una colata di spiegazioni al limite del didascalismo. Non si tratta però di banalizzare, né di mancare di fiducia nell’intelligenza o nella cultura di chi guarda, bensì di tenere a fuoco il senso stesso che gli autori hanno deciso di dare a ‘M - Il figlio del secolo’: non una ricostruzione storica, non un monito solennemente borbottato dalla caverna del passato, ma una capsula del tempo con dentro Mussolini e il fascismo lanciata attraverso lo schermo in casa dello spettatore del 2024.

Distacco e vacuità

Tanto è artificioso l’impianto quanto demistificatorio lo stile. Il protagonista e il racconto condividono un senso dell’umorismo grossolano e spietato ma talvolta efficace, e per questo ancora più disturbante. Ed è proprio creando questo senso di distacco e vacuità, intrappolandoci nello sguardo calcolatore e indifferente di Mussolini, che ‘M - Il figlio del secolo’ riesce poi a colpire lo spettatore allo stomaco col vero obiettivo del suo racconto: la violenza.

Spesso sdrammatizzata dai simpatizzanti, ma anche dagli antifascisti al confronto delle tragedie successive, la violenza delle prime squadracce è qui spettacolarizzata nel senso migliore del termine, cioè resa nella sua dimensione animalesca, sensuale, dionisiaca, e nella drammaticità delle sue conseguenze. ‘M - Il figlio del secolo’ è prima di tutto una meditazione sul rapporto tra linguaggio e azione politica, che ci ricorda come tanto più fatue, ampollose e infantili sono le parole di un regime politico quanto brutale e macabra rischia di rivelarsi la sua sostanza.

“Per interpretare un personaggio io voglio sempre sospendere il giudizio su di lui”, ha spiegato Luca Marinelli ai giornalisti riuniti al Lido, “da antifascista, farlo per 7 mesi su Benito Mussolini è stata una delle cose più dolorose che io abbia mai fatto. Ma credo sia stato giusto”. Presente anche Antonio Scurati, che chiude così: “Nel trasporre questa storia sullo schermo c’erano dei rischi legati alla spettacolarizzazione, ma credo siano stati brillantemente superati. Questa serie ha la vocazione di rappresentare in forma nuova, coinvolgente e mobilitante per le coscienze degli spettatori il fascismo, facendo capire loro quale potente seduzione potesse rappresentare 100 anni fa. E far provare loro repulsione”.