Questa sera alle 20.30 al Teatro del Gatto di Ascona con i suoi ‘Giants’, per un nuovo appuntamento del Jazz Cat Club. ‘Il rock? Magari in un'altra vita’
Ospite stasera del Jazz Cat Club di Ascona (ore 20.30 al Teatro del Gatto, biglietti su www.jazzcatclub.ch), il popolare sassofonista e cantante britannico Ray Gelato si racconta. I suoi esordi, la sua passione per Louis Prima e il rock&roll, l’amore per l’Italia e il segreto del successo suo e dei rodatissimi The Giants.
Ray Gelato, cosa ha fatto di te un musicista?
Direi l’atmosfera vibrante che si respirava a Londra nei primi anni 80, un sacco di concerti e band dal vivo. Andavo nei club dove facevano rock’n’roll e rockabilly, ma sentivo tanto anche jazz e swing. E ho avuto la fortuna di vedere dal vivo leggende del R’n’R come Little Richard e Bill Haley & His Comets, eccitanti per un ragazzo come me che cominciava a suonare. Oggi anche Londra è diversa. Ci sono ancora spazi per la musica live, ma meno rispetto a un tempo.
C’è qualcuno che devi ringraziare in modo particolare per essere diventato Ray Gelato?
Sono grato ai tanti musicisti dai quali ho imparato i trucchi del mestiere e che mi hanno incoraggiato. Non li posso citare tutti. E poi gente come Louis Armstrong, Lester Young, Louis Jordan, i grandi del R&R come Chuck Berry, un sacco di bluesman, Count Basie, Dizzy Gillespie, fonte d’ispirazione costante.
I tuoi riferimenti sono chiari: lo swing, l’R&B, Nat King Cole, Sinatra, Cole Porter, Louis Prima, Louis Jordan. Come sei arrivato a Carosone, Buscaglione e altri italiani?
È capitato quando sono andato per la prima volta in Italia, a fine anni 90, e non conoscevo nulla della musica italiana. “Ray ascolta questo, ascolta quello!”, mi dicevano fans e musicisti: mi si è aperto un mondo…
Ami molto l’Italia, vero?
Sì, ci vado spesso, il pubblico mi vuole. L’anno scorso sono stato a Umbria Jazz a tre riprese e anche il Blue Note è un appuntamento ricorrente.
Saresti mai potuto diventare un ‘rocker’?
Sì e no. La musica rock è un po’ troppo rumorosa per le mie orecchie e poi mi piace suonare qualcosa di un po’ più elaborato e impegnativo, ma il senso dello spettacolo della gente che fa rock mi diverte. Chissà, magari in un’altra vita…
Dovendo scegliere un solo e unico disco da portare su un’isola deserta, quale sarebbe?
Che dilemma! Forse porterei ‘The Wildest!’, un album di Louis Prima registrato nel 1956 con Sam Butera per Capitol Records. È una miscela esplosiva di R’n’R degli esordi, jump blues e jazz e contiene le prime versioni di Louis Prima di ‘Just A Gigolo’ e ‘Buona Sera’. È un disco che mi ha influenzato tantissimo e ancora oggi ascoltarlo mi rende felice. Louis era un grande musicista e intrattenitore, rinnovava vecchie canzoni contagiandoti con la sua allegria.
Ti piace la definizione di ‘Padrino dello swing’? Chi te l’ha data?
Un promoter di Filadelfia. Iniziò a chiamarmi così non tanto in riferimento alla musica, quanto al look e ai vestiti in stile anni 50 che indosso negli spettacoli. In fondo è una definizione che non mi dispiace, mi rende in qualche modo riconoscibile.
In definitiva, perché il tuo show è così amato? Qual è il segreto del successo tuo e dei The Giants dopo tanti anni?
Forse perché portiamo musica che si fa amare dalla gente, clever ma non troppo complessa e molto divertente. E poi c’è il lavoro, la musicalità dei musicisti che mi accompagnano, gente che sa suonare.
L’ultima tua volta ad Ascona, invitato da Nicolas Gilliet, ti eri fermato per vivere il festival, prendendo parte alle jam sessions…
Oh sì, e fu davvero divertente. Ascona è un posto bellissimo e così vibrante durante il festival. Un posto di fratellanza fra i musicisti. Sono felice ora di tornarvi e scoprire il Jazz Cat Club.
Il tuo entusiasmo per la musica è rimasto intatto dopo oltre 30 anni di carriera? Come fai a evitare il logorio della routine?
Affronto la vita con curiosità. Penso che il segreto sia fare cose diverse. Ad esempio: torno ora da Barcellona, ospite di una big band che fa un repertorio R&B che non avevo mai suonato prima; in maggio torno in Spagna per una serie di concerti jazz con un altro sassofonista. Quanto alla band, è fondamentale inserire i nuovi brani che scrivo, da proporre in concerto oltre ai classici preferiti dal pubblico.