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‘Ferrari’, il mito che svela l'uomo

Buon ritorno in sala per Michael Mann con un biopic che riesce a distinguersi (salvo qualche difficile premessa)

Nelle sale (nella foto, Adam Driver è Enzo Ferrari)
19 dicembre 2023
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‘Ferrari’ è il ritorno in sala del noto regista americano di film d’azione Michael Mann, la cui presenza su grande schermo, nell’ultimo decennio, era calata notevolmente. Una prova interessante, in cui la sua impronta è sicuramente molto visibile e apprezzabile, anche se l’elemento migliore del film è da ritrovare nell’ottimo montaggio di Pietro Scalia, che riesce a trovare un buon equilibrio tra il dramma e l’azione, accelerando e rallentando i tempi proprio come se fosse alla guida durante una lunga corsa, ricalcando la famosa Mille Miglia, 1'600 chilometri di tracciato attraverso l’Italia, da Brescia a Roma e ritorno. Una sceneggiatura timida ma tutto sommato funzionante e che contiene anche qualche guizzo, supportata da una buona prova attoriale per Adam Driver a interpretare Enzo Ferrari, nonché Penelope Cruz che riesce a costruire il personaggio della moglie Laura e a renderlo peculiare, difficile da scordare, nonostante subisca gran parte della trama.

Relazioni

È il 1957 ed Enzo Ferrari è sull’orlo del tracollo societario. Il primogenito Dino è morto da un anno, l’uomo è diventato molto freddo ed è solo al cimitero che può concedersi un po’ di sfogo, parlando con la sua tomba. Per questo motivo, e per essere un fedifrago quasi dichiarato, il suo rapporto con la moglie Laura è malsano oltre ogni limite: da un lato sono soci in affari, mentre dal lato amoroso sono ormai senza speranze ed Enzo ha una seconda famiglia nascosta, composta da Lina Lardi e dal figlio Piero, che visita molto spesso. Lina vorrebbe che l’uomo riconoscesse il figlio in quanto suo, ma Laura non è d’accordo e gli chiede, inoltre, un assegno da trecento milioni di lire in cambio di una deroga sulla sua parte dell’azienda, che serve a Enzo per poter avere le carte in mano e trattare con grandi investitori, tra cui l’avvocato Gianni Agnelli, proprietario di Fiat. È un vortice dichiaratamente destinato a inasprirsi, in cui l’imprenditore si ritrova costretto a giocarsi il tutto per tutto nella famigerata Mille Miglia, dove deve vincere per poter risollevare le sorti di uno dei simboli più importanti del made in Italy.

Non il solito biopic

‘Ferrari’ è il ritratto di uno squalo che con freddezza sa manipolare tutto ciò che lo circonda e sembra non spaventarsi per nulla, nemmeno del rischio di fallimento o di ritorsione da parte della moglie. La storia del più celebre Ferrari non è, fortunatamente, il solito biopic fatto con lo stampino, di cui il cinema americano negli ultimi anni ha abbastanza abusato, proprio perché riesce davvero a mostrare un personaggio facendo dimenticare allo spettatore il motivo per il quale è famoso; è centrale la strana relazione che si crea tra lui, la moglie e la sua seconda famiglia, oltre che la sua grande abilità negli affari e capacità di eloquenza; Enzo sa sbeffeggiare con classe i rivali della Maserati, motivare i suoi piloti con arguzia, anche facendo psicologia inversa, e si barcamena in questo stallo tra le sue consorti, in bilico sulla lama di un rasoio e costantemente sull’orlo dell’esplosione. Il ritmo è gestito ottimamente, come detto, nonostante nella lunga gara finale si vada un po’ a perdere la tensione, visto che la rivalità dei piloti in gioco fatica a emergere, rendendo dunque difficile parteggiare per una o l’altra parte.

Penelope Cruz è convincente anche con quel pizzico della sua follia latina e il suo personaggio riesce a essere in risalto grazie a una certa imprevedibilità, mentre Adam Driver si conferma credibile nell’interpretazione di personaggi storici italiani, per cui sembra avere preso gusto, anche visto ‘House of Gucci’. ‘Ferrari’ è un tentativo da considerarsi riuscito e che si traduce con un felice ritorno anche per Michael Mann, che riesce a modo suo a svecchiare un modo di fare cinema che aveva anche un po’ annoiato, costruendo una vicenda e dei personaggi italiani tutto sommato riusciti, anche con la difficoltà iniziale di lingua per gli interpreti americani, meno visibile nella versione doppiata, dando dimostrazione di saperci ancora fare dietro alla macchina da presa.

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