Simbolo della Bologna dei tiratardi, aveva suonato con Paolo Conte, che gli aveva dedicato la canzone ‘Jimmy, ballando’
"Io ho scelto come compagno di ristorante proprio Jimmy, perché vi posso assicurare che se il ristorante era buono si passavano in sua compagnia due ore deliziose, io e Giuda, anche perché si seguiva un rituale sempre volentieri ripetuto, perché si cominciava, ancora sotto lo choc degli spettacoli, a discutere di tecniche musicali, poi a metà era inevitabile che si passasse a disquisire di problemi esistenziali, finché alla fine era naturale che io e lui cercassimo di stabilire una volta per tutte quale fosse la donna ideale, andandola regolarmente a cercare nel novero di antiche attrici americane, tutte ormai allontanate in distanze anagrafiche e alcooliche": così Paolo Conte introduceva, in un concerto luganese del 1988, il brano ‘Jimmy, ballando’, dedicato al geniale chitarrista Jimmy Villotti, poeta dello swing, maestro del bebop, principe dei ‘biassanot’ (ossia dei tiratardi) nelle osterie bolognesi, scomparso dopo una lunga malattia la notte del 6 dicembre. All'epoca Villotti aveva appena lasciato la jazz band dell'Avvocato dopo due anni di concerti all'estero. Aveva suonato, nei dischi e nei live, anche con Lucio Dalla, Gianni Morandi, Vinicio Capossela e Francesco Guccini, che di lui aveva detto: "Faccio notare come abbia in sé le stigmate del genio perché, abilità sovrumana, riesce a incrociare le gambe posando ambedue i piedi per terra". Nato a Bologna nel 1944, Marco Villotti (questo il suo vero nome) aveva esordito in complessi beat negli anni 60, per poi passare nel decennio successivo al rock progressivo, prima di dedicarsi definitivamente al jazz. Negli ultimi anni aveva esercitato il suo umorismo nella scrittura, in particolare col libro ’Onyricana', del 2019, raccolta di elucubrazioni mentali annotate nei bloc-notes con cui era solito girare.