Nelle sale da giovedì 16 novembre il nuovo film diretto da Alice Rohrwacher
"Alla fine mi feci coraggio e gli chiesi di rivelarci chi fosse, in realtà. Quando gli sentimmo dire che era un angelo, fummo presi da una sorta di soggezione, anzi di timore reverenziale, e di nuovo provammo paura...". Come lo straniero del racconto di Mark Twain che abbiamo appena citato, anche l'enigmatico uomo che appare all'inizio del nuovo lavoro di Alice Rohrwacher, ‘La Chimera’, emana un'aura ambiguamente angelica: raccolto in pensieri inaccessibili, segnato da storie vissute in epoche remote, pallide linee di vecchie ferite a solcargli la fronte, il completo bianco che ha visto tempi migliori, la probabile provenienza da periferie misteriose. Le risposte evasive alle domande di alcune ragazze, i sorrisi sforzati, lo sguardo perso a inseguire chissà cosa: dove è diretto quest'uomo col carattere da orso (animale da cui ha origine il suo nome, Arthur)? Faceva parte, scopriamo presto, di una variopinta cricca di piccoli tombaroli, poveri disgraziati dal presente incerto, costretti, per immaginarsi un futuro, a contravvenire alle leggi di uno Stato che, a certe latitudini (in questo caso, nell'alto Lazio), costringe chi non abbia santi in paradiso ad andare al massimo senza frenare, e non è detto che davvero poi si vada a finir male. Grazie a miracolose rabdomantiche Arthur indirizza i loro scavi, alla ricerca di reperti etruschi che i livelli superiori dell'organizzazione rivenderanno nel mercato illecito dei beni archeologici. I tombaroli sono l'ultima ruota del carro, l'anello debolissimo di un ingranaggio che li sfrutta e li umilia, ed è curioso che il nome di battaglia del loro capo sia Spartaco.
Ma ad Arthur tutto ciò interessa poco: è convinto che gli antichi manufatti lo condurranno verso una porta di accesso all'aldilà, dove spera di ritrovare Beniamina, la fidanzata morta. Una chimera, secondo il sentire comune, e del resto è una possibilità che intuiscono solo le sue antenne da sciamano, o il suo immenso amore; per questo nella locandina del film è raffigurato come l'Appeso dei tarocchi: andando contro il sentire comune, e dunque concedendosi il lusso di vedere le cose da una prospettiva diversa, addirittura capovolta, può entrare in comunicazione con dimensioni insondabili per chi viva a testa in su, cambiando, come nel brano di Battiato che chiude il film, le prospettive al mondo. Appena uscito di prigione, sembra non avere altri desideri che rifugiarsi nella poverissima baracca in cui sopravvive, ma i vecchi soci lo convincono a rimettersi in pista. Solo due donne sembrano capirlo: Flora, l'anziana suocera, interpretata da Isabella Rossellini, e la sua allieva di canto e donna di servizio, la pura e ingenua Italia, anche lei, a dispetto del nome, straniera (la strepitosa attrice brasiliana Carol Duarte). Come l'immaginaria creatura, composta da parti di vari animali, da cui prende il titolo, ‘La chimera’ è girato in tre formati differenti e suggerisce l'idea che tante diversità sappiano convivere, ma è anche un film sul rapporto non sempre risolto che abbiamo col passato, con i ricordi, con i lasciti materiali e spirituali che ci condizionano, a volte impedendoci di diventare noi stessi, ma in qualche caso liberandoci e permettendoci finalmente di prendere il volo.