Kenneth Branagh dirige il terzo capitolo della serie dedicata a Poirot che, ritiratosi, risolve un nuovo mistero, ma con un po’ di timidezza. Nelle sale
Fatica a ingranare questo terzo episodio diretto da Kenneth Branagh, ‘Assassinio a Venezia’, che continua le avventure investigative del famoso detective Hercule Poirot e cerca di approfondirne la caratterizzazione. Un film che voleva contraddistinguersi dai precedenti e virare verso un’identità che sembrava aderire più alle caratteristiche del genere horror, percorso estremamente dichiarato e calcato nel trailer, ma che non trova un effettivo riscontro in sala: pochi sono i momenti di terrore e il tutto si riduce purtroppo a una serie di cliché abbastanza abusati all’interno del genere, principe tra gli esempi l’ennesima scena allo specchio del bagno con quel meccanismo, ormai più che consueto, dove il protagonista, guardando lo specchio, rivela improvvisamente una spaventosa figura alle proprie spalle. Una filmografia densa ma piuttosto scevra da grandi guizzi di regia e che sembra andare in discesa per Branagh, che negli ultimi anni è riuscito a colpire nel segno probabilmente solo con ‘Belfast’ (2021), non a caso il suo film più delicato, intimo e personale.
Poirot vive in solitudine a Venezia, rifiutando i seguaci che lo vorrebbero ingaggiare, ognuno con un proprio mistero da risolvere. Tra loro, la scrittrice Ariadne Oliver riesce a suscitare il suo interesse offrendogli di sfatare la veridicità delle sedute spiritiche di Joyce Reynolds, che pare essere in grado di comunicare con i morti. Invitato nella casa di Rowena Drake, che vorrebbe parlare con la sua defunta figlia, il detective si ritroverà coinvolto in una serie di stranezze apparentemente inspiegabili, tra cui l’omicidio della medium. Dichiaratamente scettico in materia di magia e stregoneria, Poirot dovrà affrontare l’incrinamento delle proprie convinzioni per risolvere l’enigma.
Di ‘Assassinio a Venezia’ non convincono del tutto i livelli di coinvolgimento emotivo e di suspense, un po’ blandi per un film del genere, nonostante siano presenti soluzioni interessanti, soprattutto per quanto riguarda le scelte visive: l’uso di grandangoli, sfocature e distorsioni degli spazi contribuiscono a creare un’atmosfera ipnotica, cupa e che ben si sposa con il tono del film, questa volta più verso il drammatico rispetto al poliziesco che contraddistingueva i precedenti capitoli di questa saga. Come già successo, similmente anche ai due ‘Knives Out’ di Rian Johnson, una problematica non indifferente si riconduce al grado di rewatch quasi inesistente, questo perché la trama poggia interamente sulla risposta alla domanda “chi l’ha ucciso?”, contrariamente, ad esempio, a film come ‘Oldboy’ o ‘Donnie Darko’, in cui la tridimensionalità del prodotto permette e auspica più di una visione. L’intrattenimento c’è, ma il mistero è poco intrigante così come il lavoro sui personaggi, distanti ed ermetici; persino Poirot, solo timidamente rivela qualcosa di nuovo su di sé allo spettatore, ormai avvezzo alla sua presenza ma che, nell’ottica di una trilogia, conosce ancora superficialmente. Una sorta di esposizione dunque, dove chi guarda non viene chiamato in causa e probabilmente non viene nemmeno troppo sorpreso dalle rivelazioni, tutto sommato poco scioccanti, che accompagnano una trama cui si assiste con scarsa possibilità di partecipazione.
Va notata la presenza di Riccardo Scamarcio, in grado di spiccare tra i non protagonisti persino con un personaggio dal cognome inventato, Vitale Portfoglio, che tanto pare a noi italofoni un semplice lapsus della parola portafoglio. Un attore di grande presenza scenica ma che fatica a trovare personaggi tridimensionali e abbastanza ben scritti per mettere effettivamente in gioco la sua capacità interpretativa (si pensi però a ‘John Wick – Capitolo 2’, dove riesce comunque a rendere interessante un personaggio molto piatto e bidimensionale, il cattivo).
Nonostante le chiare esperienza e capacità di Kenneth Branagh, ‘Assassinio a Venezia’ non brilla molto con questo Poirot dai conflitti interni deboli, sogni e ambizioni quasi sconosciuti e risultante, purtroppo, piuttosto barocco nella sua serialità e messa in scena.