La recensione

Indiana Jones 5, un buon modo di appendere il cappello al chiodo

Atti deliberati di effetto nostalgia e qualche forzatura, ma anche guizzi registici: tra pregi e difetti, il quinto e ultimo capitolo vale la visione

Harrison Ford
(Keystone)
29 giugno 2023
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L’iconico viaggio del più noto archeologo di tutti i tempi, tra molti alti e qualche basso, è giunto al termine e si porta con se ormai un pezzo di storia. Talmente un pilastro cinematografico di culto da aver accompagnato la crescita di molte persone, di diverse generazioni, Indiana Jones è l’archetipo dell’avventuriero nonché, a distanza di molti anni dal capitolo precedente e a moltissimi dal primo, un’eredità pesantissima da raccogliere. Il timone, o meglio la frusta, è passata a James Mangold, primo e ultimo a dirigere Harrison Ford nella saga, oltre a Spielberg.

In ‘Indiana Jones e il quadrante del destino’, la storia inizia nel 1944, in piena disfatta tedesca, su di un convoglio nazista che trasporta reperti archeologici leggendari, tra cui la famosa Lancia di Longino, che si dice inflisse il colpo di grazia a Gesù. Indy, con l’aiuto dell’amico Basil ‘Bas’ Shaw, si impossessa inizialmente del reperto, che si rivela un falso, quindi ruba all’astrofisico tedesco Jürgen Voller (Mads Mikkelsen) il pezzo di un manufatto chiamato Antikythera. Dotato di un meccanismo a orologeria molto complesso, viene attribuito ad Archimede in persona e pare sarebbe in grado di localizzare fessure temporali, permettendo il viaggio nel tempo.

Avanti veloce

Un salto di venticinque anni ci mostra dunque un Indiana Jones diametralmente opposto: è il 1969, tutti sono in fermento per l’allunaggio ma lui soffre terribilmente, sia a causa della mancanza d’interesse per l’archeologia, in favore dello spazio, sia per la fine del suo matrimonio con Marion. Passato a insegnare all’Università pubblica di New York, arranca con giovani stanchi e disinteressati. La sua figlioccia Helena Shaw, figlia dell’amico defunto Bas, stupisce quindi l’aula rispondendo correttamente alle domande del professore. Dapprima ingannato dalla ragazza per ottenere il pezzo del leggendario quadrante, decide di partire con lei per la sua ultima avventura, costantemente tallonato dal sopravvissuto nazista Voller, anch’esso in cerca dell’artefatto, con lo scopo di tornare negli anni ’40, per correggere ciò che secondo lui ha portato alla caduta del nazismo. Recuperati i pezzi che compongono il meccanismo in Grecia e in Sicilia, dopo un rocambolesco inseguimento aereo entrano in un portale, che non li porta però dove si aspettavano…

È il ritratto di un uomo timorato che si aggrappa disperatamente a qualcosa, l’Indiana Jones di Mangold, che trova analogie con quel ritratto cupo e particolare di Wolverine nel suo film di maggior successo, Logan. Le prime immagini dell’archeologo riflettono perfettamente la sua condizione mentale: vecchio, trasandato, insoddisfatto, burbero e con probabili problemi d’alcol, l’eroe sente tutto il peso degli anni di avventure che l’hanno reso uno dei tanti pensionati dimenticati, oltre che aver distrutto le sue relazioni e la sua famiglia. Molto interessante il rapporto che si instaura con la figlioccia Helena (Phoebe Waller-Bridge), da cui viene salvato più volte e grazie alla quale si risolvono, in definitiva, gran parte dei conflitti che riguardano il suo personaggio.

Piacevole sorpresa

Questo tentativo di ricerca di tridimensionalità maggiore del protagonista, che offre sicuramente spunti innovativi, va talvolta a discapito delle componenti classiche di esplorazione e ricerca: come forse già avveniva nel Tempio Maledetto, con il miscuglio non sempre comprensibile di voodoo, pietre magiche e sacrifici rituali, il viaggio per recuperare i reperti è talvolta nebuloso, così come il funzionamento finale di questo meccanismo di Archimede. In più, le scene emblematiche che contraddistinguono il franchise di Indiana Jones sembrano faticare molto qui a trovare uno spazio adeguato, così come il senso di esotismo, che si perde un po’ tra i lunghi inseguimenti, pur conservando qualche guizzo registico e di idee. Ciononostante, l’eterno carisma di Harrison Ford nel ruolo eclissa tutto e si mescola con una mentalità più attuale, quella della percezione che, oramai, poco resta da scoprire. I rimandi ai capitoli precedenti sono molti ed è evidente la volontà di creare un effetto nostalgia, spesso commuovendo e in qualche caso forzando un po’ la mano.

In generale, tra pregi e difetti, il quinto e ultimo capitolo di Indiana Jones vale la visione, potrebbe rivelarsi una piacevole sorpresa e il finale costituisce sicuramente una soddisfacente uscita di scena dell’archeologo per antonomasia.