La sua produzione ha la stessa funzione che aveva la rivista ‘Cuore’ per i giovani dei Novanta, ma è molto meglio
‘Questo mondo non mi renderà cattivo’ è il titolo della nuova serie – 6 episodi di circa 30 minuti – ideata da Zerocalcare e realizzata da un nutritissimo e professionale staff di collaboratori, disponibile su Netflix dal 9 giugno. Come per il resto della produzione del fumettista di Rebibbia, la visione si rivela da subito “partecipata”: ci si riconosce, si annuisce, ci si emoziona, si ritrovano situazioni conosciute ma spesso mai messe davvero a fuoco, mai così bene. C’è un coinvolgimento “individuale”, in cui affiorano ricordi, esperienze e riflessioni ma c’è anche una forte dimensione “collettiva”, che stimola uno spirito di aggregazione, qualcosa di identitario, di condiviso.
In questo senso, la produzione di Zerocalcare ha la stessa funzione che per noi giovani degli anni ’90 aveva la rivista ‘Cuore’, ma è molto meglio di ‘Cuore’. Qui ci sono molte meno certezze e molti più dubbi. Ci sono le debolezze e le fragilità, rivendicate, quasi come tratto identitario-generazionale. Forse è proprio questa, una delle cose che davvero funzionano e fanno presa, nella produzione di Zerocalcare. È identitario e aggregativo ma senza volerlo, anzi, ritraendosi. Non lo troveremo mai su un pulpito, ma tutt’al più sotto di esso, rannicchiato e nascosto, nell’atto di schermirsi: non contate su di me, non abbiate aspettative, so’ inaffidabile, so’ inadeguato, “come una balena spiaggiata”…
‘Questo mondo non mi renderà cattivo’ è narrato perlopiù attraverso il punto di vista del suo autore, ma tra le scene più incisive ci sono due monologhi di altrettanti personaggi, che esponendo la loro visione - con la forza dirompente dei loro “Ma che cazzo ne sapete voi” – scompaginano totalmente le idee che Zerocalcare (e noi con lui) si era fatto sulle vicende narrate. Qui sta probabilmente la sua “forza”, per quanto paradossale possa sembrare: nella “debolezza” delle opinioni. Nel non dare mai nulla per acquisito, nell’essere sempre pronto a rimettersi in discussione, umile, timido e insicuro, svariati passi indietro rispetto a una qualunque “verità”. È una serie che invita a riflettere, su sé stessi, sul contesto più o meno ristretto in cui si vive e sul mondo tutto attorno, che tanto lontano non è mai, a meno che non lo si voglia proprio vedere (“Gente di mare che se ne va / dove gli pare, ma non qua / a rubarmi il lavoro in questa giungla” sono i grigi pensieri riportati da Giancane nella sigla iniziale).
E poi ci sono i dettagli: ogni scena è carica di suggestioni e riferimenti, che gli spettatori possono divertirsi a scovare, anche sull’arco di diverse visioni. C’è la rilettura in chiave disincantata del mito di Orfeo e Euridice e ci sono i mille volti della cultura popolare (“l’alto, il basso, senza abbellimenti”). Ci sono sensazioni intense che ci restano attaccate, grazie anche alla forza evocativa di canzoni anni ’90 poste in scene strategiche e immaginifiche. Ci sono ‘Don’t look back in anger’ degli Oasis e ‘Friday I’m in love’ dei Cure. E una sorprendente ‘’74-‘75’ dei Connells, a dare ancora maggior spessore alla centrale “scena del faro”. E c’è molto altro: svariati temi capitali al giorno d’oggi, affrontati con acume e delicatezza: ci sono i migranti, le percezioni diffuse nei loro confronti e i trattamenti che vengono loro riservati; c’è il rapporto precario dei giovani con il mondo del lavoro; c’è la droga; ci sono i nazisti (chiamati così perché i fascisti sono stati ormai colpevolmente “normalizzati”); ci sono le paludi della tv pomeridiana e le derive dei social media, c’è l’Amicizia.
Le tematiche di genere sono qui affrontate in tutta leggerezza anche per mezzo di un notevole dialogo sugli aspetti tecnico-meccanici del sesso saffico, chiuso dal personaggio di Sara – parte in causa - con un caustico e definitivo: “Guarda, faccio finta che non ho capito, sennò te devo menà” (una delle tante frasi che andrebbero mandate a memoria e riutilizzate alla bisogna…). C’è anche la condizione del vivere in periferia, amata e rivendicata, a livello individuale e collettivo. Un aspetto che a queste latitudini dovrebbe far riflettere, invitando a (ri)appropriarsi della condizione di realtà periferica, facendo comunità, consapevoli delle proprie fragilità, anziché inseguire sconclusionati e sleali modelli di successo, barricandosi dentro frontiere-steccati molto più soffocanti che rassicuranti.
La speranza è che i giovani che oggi crescono con Zerocalcare diventeranno domani degli adulti migliori di noi che ci siamo formati con ‘Cuore’. Forse davvero ci sono le premesse per una società che porrà dei dignitosi argini alla cattiveria e si preoccuperà, per prima cosa, di “non lassà indietro nessuno”.