Il ricordo di Adolfo Galli di D'Alessandro & Galli, che la portarono in Italia dall'87 in poi: ‘Nella sua gentilezza c’era la tutta la sua storia’
“121 show, 3 milioni di persone, il più grande tour d’Europa di sempre. Grazie a tutti. Love, Tina”. È un poster, è molto raro e non si trova nemmeno su eBay. Ce l’hanno solo i promoter del tour di ‘Foreign Affair’, album del 1989 da cui i concerti fino al 1990. Una copia è nello studio bresciano di Adolfo Galli di D’Alessandro & Galli, l’agenzia cui si deve la venuta di Tina Turner in Italia dal 1987 in poi. «Quello di ‘Foreign Affair’ fu il tour più lungo», rammenta Adolfo. «Due giorni all’Arena di Verona che mi ricordo come fosse ieri, perché c’erano trenta gradi; poi due giorni a Milano, in quello che ancora si chiamava Palatrussardi; la curva dello stadio di Torino, lo stadio di Cava dei Tirreni, la scalinata dell’Eur a Roma e il Palasport di Firenze». Tina tornò d’estate, «per suonare a Massa Carrara, Lignano Sabbiadoro e tanti altri concerti. Nel 1996 facemmo anche il tour di ‘Wildest Dreams’», l’album che contiene ‘GoldenEye’, scritta per lei da Bono e The Edge l’anno prima, parte della colonna sonora dell’omonimo James Bond pre-Daniel Craig (nel 1995 era Pierce Brosnan, e ancora lo sarebbe stato per alcuni film e canzoni. Compresa quella).
Tina Turner se n’è andata già da una decina di giorni, ma un ricordo in più male non fa, meglio ancora se è un ricordo «incredibile», iniziato così: «Negli anni 80, quando ho cominciato a fare questo mestiere, mi occupavo tanto di jazz. I primi grossi nomi in ambiti rock furono Joe Cocker e Paul McCartney. Poi arrivò lei. Tra tutte le star che avevo incontrato al tempo, Tina Turner mi aveva colpito per il suo essere di una gentilezza rara, innata, unica. Era una persona che chiedeva “per favore” e ti diceva sempre “grazie”. Mi fu subito chiaro che il suo modo di comportarsi derivava dalla storia che aveva alle spalle».
Altri ricordi dal tour di ‘Foreign Affair’: «Volle incontrare tutti i promoter dei concerti europei; fummo invitati tutti a Rotterdam, ci volle conoscere uno a uno e ci consegnò una borsa in pelle personalizzata, con il sigillo dei tour», una specie di araldo che strizzava l’occhio al logo dei Queen, tipicamente british, tipicamente rock. «Fu un gesto che fece lei, non mi sembrò una trovata promozionale pensata da altri. Fu il suo modo per ringraziarci tutti».
Galli le ha incontrate tutte le star. Tutte o moltissime, di certo le più grandi. Ne conosce bizze e, non di meno, pregi. «Tina era una spiccia, pochi ‘salamelecchi’, non girava attorno alle cose: se s’infilava in un progetto, lo portava a termine». Molto aveva fatto per lei Roger Davis, che nel 1980, da manager di Olivia Newton-John, la incontrò dopo un duetto con la cantante australiana nel suo show ‘Hollywood Nights’ e le offrì il contratto che non aveva più; fu lui, nel 1983, a organizzare i tre concerti al Ritz di New York che fecero storia; di lì a poco sarebbe arrivato l’album ‘Private Dancer’.
Roger Davies è stato il manager di Tina Turner fino al 2010. «Lei non diceva mai nulla prima di guardarlo, parlava solo dopo che lui aveva annuito. Era il rispetto dei ruoli, il rispetto verso colui che la stava ‘ricostruendo’ dopo l’inferno con Ike Turner, perché rischiava di ritrovarsi allo sbando». Fu sempre Davies a mandare Erwin Bach con un auto ad accogliere Tina all’aeroporto di Düsseldorf: era il 1985, e tra l’executive della Emi e la rockstar fu amore a prima vista. Più tardi, fu matrimonio.
Musicalmente. «Ci sono due o tre duetti che rimarranno per sempre», dice Galli: «Il medley ‘State Of Shock/It’s Only Rock ‘n’ Roll (But I Like It)’ al Live Aid con Mick Jagger, che le strappa la gonna. ‘It’s Only Love’ con Bryan Adams, ‘Tonight’ con Bowie». Umanamente. «Dei movimenti femministi in ambiti di spettacolo, lei è l’inizio di tutto, in quanto donna che si è ribellata, che ha mollato Ike nel bel mezzo di un tour per andare a nascondersi e non farsi più trovare. Oggi può sembrare una cosa normale: non lo era cinquant’anni fa, non negli Stati Uniti e ancor meno nel sud degli Stati Uniti».
Galli, a Memhpis, per vedere dove Tina fosse cresciuta, ci è stato: «Mamma mia... baracche. Come cantava Neil Young in ‘Southern Man’, “little shacks”, quelle abitazioni del sud nelle quali vivevano i contadini che andavano a raccogliere il cotone. La gentilezza di fondo di Tina Turner è quella di una donna che veniva da lì, che aveva sofferto e per questo sapeva affrontare le persone nel modo giusto».
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Da sinistra: D’Alessandro, Tina, Roger Davies e Adolfo Galli nel 1990