Al netto dell'elettronica, 40 anni dopo resta il jazz: Mark Reilly, fondatore della band in arrivo ai Bellinzona Beatles Days (dal 18 al 20 maggio)
Forse in ogni casa – in ogni casa in cui vi siano dei vinili – c’è un ‘The Best Of Matt Bianco’, band identificata con un duo, a volte con un trio, oggi con una singola persona, il cantante Mark Reilly, leader di una formazione che ha segnato un suono e un’epoca, quelli di un jazz commestibile unito al techno-pop giunto fino a noi grazie anche ad altri esponenti del genere, come Sade, Style Council, Everything But The Girl.
Nei Favolosi anni Ottanta, e più precisamente quarant’anni fa giusti, nei britannici Matt Bianco – nome di fantasia generato dalla comune passione dei suoi componenti per le spy-story televisive – confluisce l’esperienza dei Blue Rondò A La Turk, progetto di Reilly, del tastierista Danny White e del bassista brasiliano Kito Poncioni. Per il primo album ‘Whose Side Are You On?’, contenente la celebre e omonima hit, i Matt Bianco cercano una voce femminile – che diventerà la cifra stilistica del gruppo – e la trovano nella cantante polacca Barbara Stanisława Trzetrzelewska, nota anche come Basia.
Dopo il successo dell’album, contente altri sempreverdi come ‘Get Out of Your Lazy Bed’, ‘Half a Minute’, ‘More Than I Can Bear’, ‘Matt’s Mood’ e ‘Sneaking Out the Back Door’, Basia lascia il gruppo insieme a White e Reilly stringe un sodalizio con l’ex tastierista degli Wham! Mark Fisher, durato sino al 2016, anno della morte di questi.
Quarant’anni dopo, più acustici, o completamente acustici come nell’ultimo album d’inediti ‘Gravity’, inciso nel 2017 con gli strumentisti di Jamie Callum, i Matt Bianco sono ancora i Matt Bianco anche senza l’elettronica, sintomo di composizioni senza tempo. Bellinzona le ascolterà all’interno dei Beatles Days che iniziano il 18 maggio per durare fino a sabato 20 (entrata gratuita). Di giovedì, tra gli altri, OI&B - Zucchero Celebration Band; di venerdì, il ritorno dei Dirotta su Cuba (Reloaded) e, appunto, Matt Bianco; di sabato, il quinto Beatles, Pete Best, con band al seguito.
Aspettiamo il concerto dei Matt Bianco insieme a Reilly, innamorato dei paesaggi svizzeri e fresco di nostalgica esibizione alla tv italiana: «È molto tempo che non suono in Svizzera. L’ho fatto tanti anni fa, ed era proprio a Bellinzona. Non vedo l’ora di tornare».
Mark Reilly, visto che suonerà ai Bellinzona Beatles Days: quanto sono contati o contano ancora i Fab Four nella sua vita?
Da giovane, da molto giovane, mentre crescevo, ho amato i Beatles molto più di quanto li ami oggi. Ma da adulto ho visto tutti quei bellissimi documentari che sono stati realizzati, opere meravigliose su di loro. Che dire dei Beatles? La più grande band che sia mai esistita. Non credo abbiano influenzato il sound dei Matt Bianco più di tanto, se devo essere sincero. Certo, hanno scritto canzoni fantastiche che parlano da sole e alle quali si deve portare rispetto assoluto.
‘Matt Bianco’ è un suono specifico, immediatamente riconoscibile: come è stato costruito?
Credo sia semplicemente il risultato della musica con la quale sono cresciuto, un insieme di soul, latin jazz, funk, l’influenza viene da lì e dai Blue Rondo A La Turk che avevano con sé due musicisti brasiliani. Era musica che faceva ballare. Ovviamente non era house music, ma un mix di tanti ritmi e diverse culture.
È sorprendente, guardando ai titoli oggi, quanto jazz riempiva le classifiche pop degli anni Ottanta e Novanta…
Sì, e nel momento in cui le classifiche erano popolate dall’elettronica. Noi portammo influenze decisamente vintage, e quando i Matt Bianco ebbero successo fu in un certo senso sorprendente rispetto a ciò che accadeva nelle chart.
Siete inseriti nella categoria del ‘Sophisti-pop’, così come mettono gli Steely Dan e Michael McDonald, per esempio, nel genere ‘Yacht-pop’. La definizione mi pare riduttiva, suonare bene e cantare altrettanto dovrebbe essere la regola, non una categoria…
(Ride) Lo prendo come un complimento, però sì, io cerco di fare musica indipendentemente da cosa la gente pensi e da quale categoria viene assegnata a quel che produco. Credo che i Matt Bianco siano stati capaci di effettuare una recente transizione che permette loro di suonare nei jazz club, posti che aprono a più musicalità e ai musicisti jazz che ci accompagnano, creando una fusion, più che un jazz mainstream. È vero, per cambi d’accordo e strutture si tratta di musica più sofisticata, a volte comunque venata dal pop, ma è semplicemente, di nuovo, la musica che amo.
Sono passati quarant’anni: com’era la musica nel 1983?
Come ho detto, c’era questa esplosione di elettronica, i sintetizzatori hanno caratterizzato la fine dei Settanta e l’inizio degli Ottanta, quando abbiamo cominciato. Eravamo ancora in quella band iniziale, che era fondamentalmente una band di jazz e latin dance, e ancora quel territorio mi affascina. Non ci aspettavamo quel successo, ce n’è voluto prima di firmare un contratto discografico, proprio per la difficoltà di essere inquadrati musicalmente.
‘Gravity’, 2017, resta ancora l’ultimo disco d’inediti, e il primo senza Mark Fisher: come ha gestito la perdita?
Senza Fisher è senz’altro dura. Mi ha aiutato il fatto di aver fatto musica, quando Mark era ancora vivo, con i New Cool Collective, una band olandese, pur continuando a fare concerti come Matt Bianco insieme a lui. Quando Mark se n’è andato ho avuto la possibilità di lavorare con Dave O’ Higgins (Jamie Callum, Mezzoforte, Matthew Herbert), che voleva fare un album dal suono jazz-combo ed è uscito ‘Gravity’, il primo album senza Mark. Volevo fare qualcosa di diverso, e sta tutto lì, realizzato senza troppa difficoltà.
Cosa si ascolterà a Bellinzona?
Un insieme di hit di Matt Bianco e di musica più recente. Abbiamo realizzato nuovi arrangiamenti dei vecchi successi e s’inseriscono perfettamente nel nostro suono odierno. Sarà un grande show, con grandi musicisti.
L’ultima domanda: è ancora un fan delle spy-story? E c’è un film, o una serie, che ama particolarmente?
Devo dire che quell’idea iniziale legata alle spy-story col tempo si era diradata, ma negli anni non ho smesso di comperare musica legata a quel genere specifico. In verità, in tv e al cinema, di quel tipo di storie è rimasto poco. Resto affezionato a quelle vecchie.