La canzone del soldato non è in scaletta, ma gliela canta il Lac (cronaca dell’impeccabile show di un signore del palcoscenico)
Il primo ‘Forza Napoli’ arriva su ‘Rose rosse per te’, il secondo su ‘Erba di casa mia’, uno nel primo e l’altro nel secondo tempo, come nel calcio. Poco prima del recupero (i bis), il concerto filato via tra l’amore e il sogno finisce nell’insieme dei due sentimenti: “Sogno ancora uno scudetto”, dice l’artista.
Il prologo non deve ingannare. Di calcio non si è quasi mai parlato nella data luganese di ‘Tutti i sogni ancora in volo’, titolo/modus vivendi nel quale Massimo Ranieri fa coincidere un tour, una canzone (‘Perdere l’amore’, dalla quale il verso è tratto), un libro autobiografico e un disco di rara bellezza, che si chiamano tutti allo stesso modo. Il disco è uscito a fine 2022, è stato prodotto da Gino Vannelli e per Ranieri hanno scritto quelli che in Italia sanno scrivere meglio, Ivano Fossati e Pacifico inclusi.
La scenografia rende la Sala Teatro del Lac un po’ Carnegie Hall (tempio del jazz di New York, spesso sede di happening musicali orgogliosamente italofoni) e un po’ ‘Sogno e son desto’ (uno dei tanti show Rai del sabato sera, con il Nostro a far da mattatore). A Lugano, Ranieri si divide tra pop e tradizione, jazz e chanson française, non dovendo fare altro che intrattenere, in quanto nulla è richiesto in più ai grandi come lui. Dosa estratti dal nuovo disco equamente divisi tra la prima e la seconda parte di serata (‘Lasciami dove ti pare’, ‘Di me di te’, o il Sangiorgi di ‘È davvero così strano’) e sempre tra il lato A e il lato B del suo spettacolo semina alcuni capitoli di storia personale che ascoltati dal vivo, da lui che è l’originale, riparano l’usura del tempo e della tv, che si nutre di evergreen a ogni cambio di canale. E quindi lunga vita, di nuovo, a ‘Vent’anni’ (1971) e ‘Se bruciasse la città’ (1969).
Nella prima parte c’era il suddetto Fossati, che nel nuovo disco ha scritto per lui ‘Dopo il deserto’; nella seconda il suddetto Pacifico, che gli ha regalato un piccolo capolavoro intimista intitolato ‘Questo io sono’. A entrambi, Ranieri rende onore e altrettanto fanno con lui le canzoni. Il napoletano torna dopo la pausa ancor più in voce con ‘Quando l’amore diventa poesia’, a Sanremo 1969 condivisa con Orietta Berti, qui in un sei ottavi che è pane per gli assoli della band. Dal jazz si torna alla canzone purissima, quella di ‘Lettera di là dal mare’, il Sanremo pescatore di perle: di quella canzone di un anno fa, solo l’ascolto dal vivo rende l’idea della difficoltà, e a Lugano, assai più che all’Ariston, Ranieri è semplicemente perfetto.
Quello di Massimo Ranieri è un concerto senza tempo e non solo per il repertorio. È senza tempo perché non c’è il gobbo sul quale scorrono i testi e nemmeno il suggeritore nella buca che lancia la battuta, cosa giusta per un uomo di musica e di teatro quale Ranieri è (il doppio ringraziamento a Giorgio Strehler, che un bel dì lo volle a recitare Brecht cambiandogli la vita, qualcosa dice).
Diciamo dei tributi. Quello al Modugno di ‘Resta cu’ mme’, con aneddoto annesso, la censura di “nun ’me ’mporta d’o passato / nun me ‘mporta e chi t’ha avuto”, mutato in “Nu’ me ’mporta si ’o passato / sulo lagreme m’ha dato” perché “una donna all’epoca non poteva avere avuto un’altra storia”, dice Ranieri. L’altro tributo è all’amico e chansonnier per eccellenza Charles Aznavour e alla sua ‘Quel che si dice’, o ‘Comme ils disent’ nella versione francese, brano che nel 1972 affrontava il tabù dell’omosessualità (“Che colpa posso avere se / madre natura fa di me / un uomo o quel che si dice?”): l’ultimo fotogramma di orgogliosa diversità, in una canzone resa spettacolo a sé (spot bianco dall’alto, sparato sul protagonista), è il prologo a ‘Perdere l’amore’, ovazione pre-bis.
Si riapre il sipario e il tributo è a Carosone (‘Tu vuo’ fà l’americano’). ‘’O surdato ’nnammurato’ non è in scaletta, ma gliela canta il pubblico prima di ‘Anema e core’, caposaldo della tradizione messo da Ranieri tra le perle di ‘Malìa’, il primo di due suoi album jazz usciti tra il 2015 e il 2016, nei quali è condensata la canzone napoletana, quella sulla quale è costruita metà di tutta l’orecchiabilità delle nostre vite, volenti o nolenti, da nord a sud. E pure nel mezzo.
Ti-Press
Massimo Ranieri