Venerdì 24 e sabato 25 marzo, nella chiesa del Collegio Papio di Ascona, la festa per il trentennale del Coro: a colloquio con il fondatore, Mario Fontana
«C’era questa pianta fuori di casa. Per me il Natale aveva il profumo del suo fiore. Un giorno camminavo per Arcegno, l’ho sentito e mi sono detto che il nome sarebbe potuto essere quello». Calicantus, da cui l’omonimo Coro fondato e diretto dal maestro Mario Fontana. Era il 1993 e da allora sono trascorsi “30 anni di magia”, che è quanto si legge sulla locandina del Concerto di gala, la festa per il Trentennale, in programma venerdì 24 e sabato 25 marzo alle 20 nella Chiesa del Collegio Papio di Ascona. Al coro principale si unirà la Calicantus Experience, gli ex coristi, sessanta bambini oggi adulti. Per l’anniversario, la chiesa si trasformerà all’insegna della multimedialità: grande schermo, grande logistica, undici video a intercalare la musica e altre particolarità che lasciamo in forma di sorpresa, per chi ci sarà.
Il Concerto di gala è il primo atto della festa dei trent’anni del Calicantus: in aprile, tanto per cominciare, il coro tornerà nell’amata Repubblica Ceca, cui deve parte della propria genesi…
Mario Fontana: come nasce il Calicantus?
Stavo finendo il Conservatorio, lavoravo già nelle scuole elementari come docente di educazione musicale. Il coro è nato dall’esigenza e dal piacere dei bambini di cantare, nei doposcuola. Ma è nato anche da una mia fortuna, quella di avere avuto al Conservatorio il maestro Alfio Inselmini, che mi aprì le porte della docenza, e mi affidò il suo coro di bambini in Vallemaggia, che io unii al mio. Altra questione fondamentale è che nel 1991 vidi a Locarno un coro di 80 bambini della Repubblica Ceca e ne rimasi colpito. Al tempo non c’era internet, non c’era nulla in zona se non il Coro della Turrita, che onoro sempre, ma quel concerto mi fece capire cosa fosse possibile fare con un coro. Intrapresi quindi dei viaggi in Repubblica Ceca, terra nella quale poi studiai.
Si aspettava che il Calicantus sarebbe durato trent’anni?
Non per i primi due anni, durante i quali la cosa non andò al di là del puro piacere di cantare. Poi mi resi conto che si sarebbe potuto piantare un seme. All’epoca volevo viaggiare, avevo aperture su tanti fronti: decidere di fare questo, sarebbe significato fermarmi in Ticino, costruire qualcosa di solido che avesse cori preparatori, una struttura, degli aiutanti.
È andata così. Il risultato, con gli occhi di oggi, quale sensazione le provoca?
Di un coro, piano piano ti rendi conto del suo diventare strumento, ma anche della sua profonda valenza umana. Sul pianoforte tocchi i tasti, qui tocchi persone, anime, intenzioni. Al di là della musica, che offre questa miscela di suoni e di voci che reputo sublime – alimentata dalla bellezza delle composizioni – la cosa che colpisce di più è la forza della presenza di canta, la forza dell’adesione, quel miracolo che porta il silenzio a diventare polifonia, qualcosa di così elevato che supera qualsiasi strumento.
Al di là dei successi, al di là delle occasioni di prestigio, ma anche insieme a essi, c’è un momento particolare di questi trent’anni che andrebbe ricordato più di altri?
Il risultato per me più rilevante è lo scopo comune, l’essere presenti dei giovani l’uno per l’altro, dalla conquista della propria soddisfazione – il riuscire a eseguire certe posizioni, a cantare determinate vocali, più difficili di altre da intonare – fino al voler essere lì per la squadra. Prima che nei concorsi, infatti, si vince nella propria volontà. Se poi vogliamo nominare momenti specifici, allora ve ne sono innumerevoli. Potrei citare il concorso internazionale di Montreux nel 2010, quando vincemmo tutti i premi che si potevano vincere. Bellissimo e fondamentale fu anche cantare nella Repubblica Ceca davanti ai miei maestri, che oggi non ci sono più, momenti di rara commozione perché riuscivo a restituire una parte di ciò che essi mi avevano insegnato.
Nel 1993 lo smartphone era ancora fantascienza: come è cambiato l’interesse dei tuoi cantori?
È senz’altro vero che oggi tutti, non solo i giovani, siamo ipersollecitati, che si tratti di una e-mail o di un messaggio Whatsapp. Al di là della piacevolezza e della necessità del sentirsi in contatto, c’è ancora da parte mia la necessità di essere modello e di trovare modelli, di calma e di serenità, per mostrare l’importanza del momento fisico, mentale ed emotivo. Se parliamo di livello di attenzione, certo, è inferiore rispetto al passato perché il mondo è cambiato. Nel 1996, ai tempi del primo disco del Calicantus, cantavano giovani che ancora scavalcavano gli steccati e si grattugiavano le ginocchia tuffandosi nei prati. Oggi è tutto diverso, ma non vorrei essere frainteso: il mio pensiero sui giovani è in un mio testo che s’intitola ‘Generazione sul divano’, che è un omaggio a loro e un’accusa agli adulti. Lo sviluppo tecnologico dovrebbe essere sempre accompagnato da modelli, esempi, percorsi da seguire. Di certo, al di là di questo, gli ultimi anni non sono stati d’aiuto.
Nel novembre del 2020, lei fu tra quelli che più alzarono la voce quando l’emergenza sanitaria zittì i cori: come ha ritrovato i suoi cantori, una volta tornati alla normalità?
Rispettando tutte le misure, noi non li abbiamo mai abbandonati, eccezion fatta per i due mesi di lockdown. Abbiamo fatto di tutto affinché il canto rimanesse vitale, luminoso e non nocivo, come erroneamente si fece intendere in quei giorni. Abbiamo continuato, ricevendo una grande risposta da parte dei ragazzi e delle famiglie. È vero però che dalla riapertura a oggi la normalità è in parte apparente. Mi sembra di percepire una certa fragilità, una certa insicurezza verso nuove esperienze. Le macchie di quanto accaduto, d’altra parte, saranno visibili ancora per molto tempo, io credo.
Dalle sue parole, nei giorni della chiusura, lo scenario futuro delle corali svizzere risultò essere abbastanza funesto: è informato su come se la passano oggi?
Hanno combattuto, hanno reagito. Per fortuna il canto è una ‘malattia’ fortissima e le corali hanno ripreso con vigore le loro attività. È anche vero però che diverse realtà hanno chiuso, soprattutto i cori di adulti, per i quali l’età avanzata dei componenti crea tanta difficoltà nel ricambio. Bisognava forse averne più cura, ma questa è mancata tanto per le corali quanto per la cultura in generale.
Chiudiamo con la Calicantus Experience: quanto è stato difficile andare a recuperarli tutti? E quale lavoro è stato fatto vocalmente, visto che la voce non è più quella di un bambino?
Di alcuni abbiamo recuperato gli indirizzi, altri li abbiamo cercati sui social, trovandone 230; abbiamo scritto a tutti, illustrando il progetto in sintesi: ci hanno risposto in 60 ed è stato grandioso. Li ho ascoltati singolarmente, in un primo incontro: soprattutto per quel che riguarda i soprani, ho dovuto verificare le condizioni di chi a sedici anni era un soprano ed è arrivato a quarant’anni senza avere più cantato. Diciamo che ho tolto la ruggine. Abbiamo fatto quattro prove in cinque mesi, che hanno superato qualsiasi aspettativa. Ho visto adulti pieni d’energia, che oggi sono genitori. Per me è il regalo più grande.
Mario Fontana