‘She Came to Me’ della talentuosa Rebecca Miller, stranamente fuori Concorso, e l’umana installazione intitolata ‘Jaii keh khoda nist’ (Dove Dio non c’è)
Come previsto, la Berlinale numero 73 apre con la cinematografica fantasia di ‘She Came to Me’ della talentuosa Rebecca Miller, stranamente messa fuori Concorso, e con – al Forum – ‘Jaii keh khoda nist’ (Dove Dio non c’è), coproduzione Svizzera/Francia diretta da Mehran Tamadon. Intanto il mercato cinematografico, uno dei maggiori nel mondo, non certo ai livelli di Cannes, dopo due anni di pandemia e con la produzione in fortissima crescita cerca una bilanciatura tra chi offre film e chi li compra, entrambi invasi dalle proposte, basti guardare l’intenso calendario di proiezioni in corso al mercato. Qualcuno ha azzardato una proposta, quella di puntare a una produzione di maggior originalità e di non lasciarsi trascinare da un trend di piattezza narrativa e di linguaggio. Chi l’ha detto resterà basito di fronte all’annuncio che è in produzione un nuovo film su ‘Lassie’: si è arrivati a toccare il fondo imbarazzante delle idee, senza nulla togliere a Elizabeth Taylor e al suo collie, già copiati malamente qui in Germania nel 2020.
Protagonist Pictures
Peter Dinklage
Di certo un film come ‘She Came to Me’ non pecca di banalità, anzi. Rebecca Miller, che ha scritto anche la sceneggiatura, ha pensato a un film capace di sorprendere e di meritare applausi. Basti dire che c’è un nano che fa il musicista d’opera, è sposato con una psicologa di bell’aspetto, ma mentre il loro figlio intreccia il suo amore con la giovane figlia minorenne della donna delle pulizie di casa, lui, il nano, incontra una marinaia, pilota di un rimorchiatore al porto di New York, e accade che l’amore sbocci tra loro e che lui per lei componga la sua opera lirica più applaudita. A rovinare gli idilli è il patrigno della giovane, un impiegato fallito che riprende forza partecipando ai raduni dei nostalgici confederati. A fronte della strana trama, resta da parte della regista la scelta di un cast da spellarsi le mani applaudendo: il nano è Peter Dinklage (il Tyrion Lannister nella serie televisiva ‘Il Trono di Spade’), attore formidabile, intenso e padrone della scena; sua moglie è una Anne Hathaway in gran spolvero, che alla fine andrà a fare la suora; grande protagonista è Marisa Tomei che, qui come pilota, tratteggia uno dei ruoli femminili più intensi della sua carriera. La commedia è stupenda, si ride, ci si emoziona, ed essendo ambientata anche nel mondo dell’opera si ascolta musica di gran livello: non solo Haendel, ma musica lirica del nostro tempo, mostrandone l’invidiabile maturità. Interessanti la fotografia di Sam Levy, uno che ha imparato da Eric Rohmer a immaginare il cinema, e il montaggio di Sabine Hoffman, già con Rebecca Miller per il suo ‘The Ballad of Jack and Rose’. Di rilievo i costumi di Marina Draghici, a dimostrare – col resto – l’attenzione della regista nel pensare il film.
L’Atelier Documentaire
Homa Kalhori, Mehran Tamadon
Si gira violentemente la pagina con il film svizzero/francese. ‘Jaii keh khoda nist’ è scritto e diretto da Mehran Tamadon. Nato in Iran, ma cresciuto in Francia, questo artista eclettico si è laureato in architettura a La Villette, per poi tornare per quattro anni in Iran dove una sua mostra di arte concettuale è stata ospitata al Museo d’Arte Moderna di Teheran. Poi, in alcuni suoi documentari si è interessato al rapporto tra la religiosità e il martirio in Iran. Nel suo film, ci porta in una stanza vuota alla periferia di Parigi dove è in costruzione una cella di prigione, realizzata con i ricordi di Homa Kalhori, Taghi Rahmani e Mazyar Ebrahimi, tutti prigionieri per anni nelle prigioni iraniane di Evin e Ghezel Hesar, dove sono stati torturati e dove ne hanno visto morire a centinaia come loro. Il film spiega subito che è stato girato prima delle rivolte che hanno portato in piazza e in galera migliaia di donne. Insieme, la pellicola spiega con lucida e crudele sincerità un mondo di orrore e orrori che non lascia scampo alla smorta coscienza di chiunque.
‘Jaii keh khoda nist’ è costruito come una umana installazione in cui le parole usate come suoni superano il peso dei corpi. Berlino batte un colpo fragoroso in un silenzio mortale, Dove Dio non c’è.