Sul sito dei Grammy, la sintesi della carriera: ‘Delle regole me ne frego. Se non le infrango almeno 10 volte per brano vuol dire che ho lavorato male’
"Sempre e per sempre" (Eric Clapton); "Ci ritroveremo" (Buddy Guy); "Il guerriero delle sei corde" (Jimmy Page); "Energia ed entusiasmo illimitati" (Robert Plant); "Era punk prima che il punk esistesse" (The Edge); "L’apice assoluto del suonare la chitarra" (Brian May); "Era di un altro pianeta" (Rod Stewart). E poi David Gilmour, Paul Stanley, Billy Gibbons, Jimmie Vaughan, John Mayer, Joe Bonamassa e il pianista Billy Joel, che dal vivo la chitarra la suona e ha perso uno dei suoi eroi: Jeff Beck.
Nato Geoffrey Arnold Beck il 24 giugno del 1944, Jeff Beck è stato uno dei chitarristi più influenti nella storia del rock. È morto all’età di 78 anni per una forma letale di meningite batterica. In giovane età, passò dal coro della chiesa alla chitarra ascoltando quella di Les Paul, pioniere dello strumento e delle tecniche di registrazione (una Gibson, capolavoro di design, porta il suo nome). Quel suono fu per il giovane Jeff il punto di non ritorno: assorbì la tecnica di Cliff Gallup, chitarrista di Gene Vincent (oggetto, nel 1993, dell’album-tributo rockabilly intitolato ‘Crazy Legs’) e lo stile di B.B. King e Steve Cropper, chitarrista della Stax Records. Nel 1965, divenuto session man, Beck venne segnalato agli Yarbirds (nota ‘local’: transitati l’anno prima a Locarno) da Jimmy Page dei futuri Led Zeppelin, per sostituire Eric Clapton, traslocato nei Bluesbreakers di John Mayall.
"Grazie per gli inizi insieme, a conquistare l’America" è il post d’addio di Ronnie Wood, che prima di suonare negli Stones fu seconda chitarra nel Jeff Beck Group, fondato da Beck all’inizio del 1967, una volta incassato il benservito dagli Yarbirds, il cui produttore voleva fare di lui una pop star (che per Beck è sempre stato peggio dell’aglio per i vampiri). In poco meno di due anni, tempo della sua permanenza nella band, la band realizzò tutte le sue Top 40. Con colorita ironia, una notte del 1992, così commentò Beck l’esperienza negli Yarbirds, quando gli stessi vennero introdotti nella Rock and Roll Hall of Fame: "Qualcuno mi ha detto che dovrei essere orgoglioso stasera, e invece non lo sono perché mi hanno fatto fuori, quindi vaff******".
Nel 2009, presentato proprio da chi agli Yarbirds l’aveva consigliato (Page, in seguito, negli Yarbirds suonò per un breve periodo), Jeff Beck finirà nella Hall of Fame del Rock and Roll anche come solista, accompagnato sul palco da membri degli Stones, dei Red Hot e dei Metallica in ‘Train Kept-A-Rolling’, classico d’inizio Cinquanta.
Jeff Beck fu a un passo dai Pink Floyd per sostituire il defunto Syd Barrett, ma anche a un passo dagli Stones per sostituire l’altrettanto defunto Brian Jones. ‘Truth’ (1968), l’album d’esordio del Jeff Beck Group, contiene i semi dell’heavy metal; ‘Blow By Blow’ (1975), primo episodio da solista, è una pietra miliare del rock strumentale, testimonianza di un’esplosione di creatività dal vivo e in studio, anche tecnologica, fatta di affascinanti distorsori, feedback, ‘fuzz’ e altra oggettistica già sdoganata tempo prima. Da ‘Who Else!’ (1999, una delle collaborazioni con Jennifer Batten, bionda e tecnicissima chitarrista di Michael Jackson in ‘Bad’ e ‘Dangerous’) fino a ‘Jeff’ (2003), la musica di Beck contemplerà anche l’elettronica. Detto con la moderna classificazione, ma con un vecchio concetto: ‘Fusion’.
Un Ivor Novello Award "per l’eccezionale contributo alla musica britannica", Jeff Beck ha messo in fila diciassette nomination ai Grammy, la prima nel 1976 per l’album ‘Wired’. "Delle regole me ne frego. Se non le infrango almeno dieci volte in ogni brano, sento di non aver fatto bene il mio lavoro", sue parole dalla pagina web dedicatagli dalla Recording Academy. Otto i grammofonini vinti (di cui sei per la Miglior performance rock strumentale): ‘Escape’ (dall’album ‘Flash’ del 1985), ‘Guitar Shop’, con Terry Bozzio e Tony Hymas (da ‘Jeff Beck’s Guitar Shop’ del 1989), ‘Dirty Mind’ (da ‘You Had It Coming’ dell’anno Duemila), ‘Plan B’ (da ‘Jeff’ del 2003), una versione di ‘A Day In The Life’ dei Beatles, nel 2009; tre Grammy sono tutti del 2010, per ‘Hammerhead’ e per la rivisitazione del pucciniano ‘Nessun dorma’ su ‘Emotion & Commotion’, e per l’‘Imagine Project’ di Herbie Hancock, nel quale il chitarrista compare.
Da ‘Barabajagal’, album di Donovan del 1968, a ‘Patient Number 9’ di Ozzy Osbourne, 2022, la chitarra di Jeff Beck si ascolta nell’eponimo di Seal, in un paio di episodi ZZ Top, in ‘Private Dancer’ di Tina Turner, in ‘Amused to Death’ di Roger Waters e nel primo episodio solistico di Jon Bon Jovi intitolato ‘Blaze Of Glory’ (per qualcuno, il miglior Bon Jovi di sempre). Una di queste collaborazioni, quella con Stevie Wonder, risale al 1972 e ha una storia molto particolare...
"C’è stato un tempo nel quale ero piuttosto annoiato dalla mia musica", ricorda Beck in ‘The Guitar Greats’, libro del 1984 di John Tobler e Stuart Grundy. "Qualcuno alla Cbs mi chiese cosa avessi voluto fare; io risposi che amavo le cose di Stevie; loro mi dissero che se davvero fossi stato interessato a lavorare con lui, avrai trovato un tipo ricettivo". L’accordo tra Jeff Beck e Stevie Wonder, al lavoro sul suo ‘Talking Book’, era che il secondo avrebbe scritto una canzone per il primo, e il primo avrebbe suonato nell’album del secondo. "E qui arriva ‘Superstition’".
Su quel disco fondamentale, che contiene almeno un altro paio di gemme quali la traccia d’apertura, ‘You Are the Sunshine of My Life’, e quella di chiusura, ‘I Believe (When I Fall in Love It Would Be Forever’), Jeff Beck suona in ‘Lookin’ For Another Pure Love’, ma il suo apporto a ‘Supertition’, brano che apre il lato B, è nel lavoro preparatorio a quella canzone, un groove semplicemente funky rimasto nella demo del brano. Di quell’intuizione ritmica, Ultimate Classic Rock rilancia parole di Beck: "Un giorno ero seduto alla batteria, che amo suonare quando nessuno è in giro e Stevie entra in studio dicendomi di non fermarmi; io gli dico di non scherzare, che non so suonare la batteria, e lui se ne esce con la parola ‘Supertition’. Era la mia canzone, era il compenso per aver suonato su ‘Talking Book’. Ho pensato che Steve mi avesse appena regalato il riff del secolo".
‘Superstition’ – testo che si dice sia nato nella mente di Stevie Wonder in risposta al suo essere tutt’altro che superstizioso – era prevista negli album di entrambi gli artisti, ma la versione di Jeff Beck non sarebbe stata pubblicata prima del 1973: appare in ‘Beck, Bogart & Appice’, collaborazione con il bassista Tom Bogart e col batterista Carmine Appice. Per l’insistenza dell’oggi 93enne guru Berry Gordy, padrone della Motown ma anche ‘padrone’ del giovane Wonder, la versione del suo artista arrivò in radio e nei negozi l’anno prima, per diventare materiale didattico nelle moderne scuole di musica.