Il secondo capitolo della saga di James Cameron destinato a entrare nei libri di storia cinematografici e in quelli di psichiatria
Il secondo capitolo della serie ideata da James Cameron, ‘Avatar - La via dell’acqua’, sta letteralmente frantumando ogni record dei botteghini.
Il primo weekend si è concluso e nelle casse dei 20th Century Studios sono entrati oltre 430 milioni di dollari. Non si tratta di una partenza sprint come, nel 2009, quando uscì il primo capitolo. Piuttosto un ‘diesel’ destinato a frantumare ogni record.
Il nuovo Avatar è, infatti, destinato ad entrare nei libri di storia cinematografici per altri motivi, tra cui l’innovazione tecnologica di cui è importante esponente: l’high frame rate, ovvero una tecnica che rende più fluide e dettagliate le scene d’azione; un sistema che raddoppia l’attuale standard di frame per secondo, portandolo da 24 a 48.
Del resto il regista è diventato famoso per le sue tecniche innovative, dal primo utilizzo massiccio di ‘cgi’ (effetti speciali) di ‘Terminator 2’ al rilancio del 3D proprio con il primo ‘Avatar’.
Con questo secondo film è tornato anche un fenomeno che incuriosì il mondo oltre dieci anni fa: la post avatar depression, quella sensazione di tristezza dovuta alla scarsa connessione con la natura che invece hanno i ‘Na’vi’. Ovvero l’invidia provata dagli spettatori per gli abitanti blu del pianeta Pandora protagonisti del film, tanto da volersi reincarnare nel loro mondo. Impossibile. Tanto che gli psichiatri si sono visti aumentare le richieste di sedute: "La tecnologia usata fa sembrare la vita reale imperfetta".