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Amando Patricia, scoprendo Highsmith

Tratto da diari e appunti, e col racconto di amanti e familiari, esce ‘Loving Highsmith’, documentario di Eva Vitija sulla scrittrice che visse in Ticino

Da oggi al Lux di Massagno, al Multisala Mendrisio e all’Otello di Ascona
13 ottobre 2022
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"Non ho mai scritto ‘crime’, ma storie che lo contenevano", diceva di sé Patricia Highsmith. "Aveva strane idee che a me non sarebbero mai venute in mente", dice una delle donne della sua vita. Strane idee, o meglio "creepy ideas", idee raccapriccianti, scaturite a 16-17 anni, punti di partenza per bestseller come ‘Strangers on a train’, l’esordio del 1950 da cui l’omonimo film di Hitchcock, o ‘Il talento di mister Ripley’ del 1955, da cui l’omonimo film di Minghella.

Partendo da diari e appunti della scrittrice, ‘Loving Highsmith’ di Eva Vitija, regista basilese, è il grazioso e denso ritratto di una scrittrice più amata in Europa che in patria, fuggita dal Texas, dalle convenzioni e dal pregiudizio per vedere il mondo, amare e, infine, rifugiarsi in Ticino: prima dentro il suo ‘Bunker’ di Tegna, poi ad Aurigeno, per spegnersi non prima di aver lasciato 8mila pagine cui si deve, anche, questo documentario che esce oggi nelle sale svizzere.

‘Note su un argomento sempre presente’

Nata in una famiglia texana e razzista dedita al rodeo, Patricia Highsmith è figlia di una madre disposta a morire pur di non averla, impossibilitata dunque a rispondere al bisogno d’amore della figlia. Madre che le trova il fidanzato e glielo impone, e che la figlia per un po’ s’impone ("Perché tutte ci proviamo a cambiare"). L’omosessualità ("Note su un argomento sempre presente", la definisce nei suoi diari) la costringe a una doppia vita come ‘Carol’, protagonista dell’omonimo suo libro del 1952, scritto sotto pseudonimo, prima storia nella quale l’amore tra due donne non finisce in tragedia.

Con la chitarra di Bill Frisell a far da contrappunto, tra lunghi silenzi che fanno parlare il materiale d’archivio laddove questo già non parli da se – anche dalle teche Rsi – in ‘Loving Highsmith’ la scrittrice si racconta, è raccontata dalla famiglia ma ancor più intensamente rivive nelle parole di Marijane Maeker, Monique Buffet e Tabea Blumenschein, amanti e amiche che raccontano ‘Pat’ a Vitija e, indirettamente, a noi. Tra la Francia, Berlino, Londra e il Ticino.

Abbiamo incontrato Eva Vitija poco prima dell’uscita del film. Ci aveva raccomandato di citare Silvana Bezzola, produttrice Rsi, «che si è tanto presa a cuore questo film». Detto questo…

Eva Vitija, come avviene il suo incontro con Patricia Highsmith e come si arriva a ‘Loving Highsmith’?

Potrà sembrare ingenuo, ma avevo 6 o 7 anni quando i miei genitori mi portarono a Tegna per le vacanze estive. Non ricordo perfettamente da chi mi fu detta questa cosa, ma mi fu raccontato che in quel villaggio c’era una scrittrice molto famosa che viveva tutta sola con i suoi gatti. Questa immagine mi è rimasta in mente per tanto tempo. Poi, naturalmente, ho letto i suoi scritti e mentre stavo finendo il mio primo film ho pensato che, dopo averne girato uno su di un uomo ossessivo, mio padre, avrei potuto fare altrettanto con una donna ossessiva. Due giorni dopo qualcuno mi sottopose una lista di scrittori di cui mi sarei potuta occupare, lista sulla quale compariva Patricia Highsmith. Scelsi immediatamente la donna che viveva con i gatti e cominciai le ricerche per recuperarne gli scritti inediti, che conducevano a Berna.

Premetto che fino all’ultimo non sono stata sicura di poter realizzare un film di questo tipo. Non sapevo quante delle persone legate a Highsmith fossero ancora vive. Sono stata però stimolata dalle tante contraddizioni, dalle discrepanze tra quanto comunemente si diceva di lei e ciò che mi veniva raccontato. E di lei, all’inizio, non avevo che quell’immagine cupa, della scrittrice rintanata in casa; poi ho letto i suoi appunti e ho trovato un’altra donna, che raccontava di una vita vissuta, della vita sentimentale, del suo essersi innamorata di tante donne, relazioni mai troppo lunghe e profonde, ma entusiasmanti. Insomma, mi sono trovata di fronte a qualcuno di assai meno depresso di quanto mi potessi aspettare, e l’ho scoperta molto vicina a me. Credo che saremmo potute diventare buone amiche…

Anche se l’idea che la scrittrice aveva degli svizzeri era che la poca luce producesse su di loro effetti negativi?

Quella non è una considerazione sulla Svizzera in generale, bensì su quel che percepì in quella parte di Ticino in cui inizialmente si stabilì, dunque Aurigeno, protetto dalla valle, dove non c’è molto sole. La prima casa in cui visse, luce a parte, era molto bella.

Il Bunker, invece, è impressionante…

Il Bunker è a Tegna, ma oggi quella costruzione è molto cambiata. Eppure è l’effetto che fa soltanto una parte di quella casa, l’altro lato era assai amichevole, con grandi finestre luminose e un bel giardino.

Quanto è stato difficile recuperare gli amori di Patricia Highsmith?

Non è stato facile, perché molte donne nei suoi appunti sono anonime. Ancor più difficile se si pensa che sono nomi di una generazione che non apparteneva a internet: si è trattato di riuscire a sapere chi fossero, dove vivessero, e recuperarne la storia. Sono partita dalla rubrica telefonica, e ad alcune di quelle donne ho potuto soltanto scrivere una lettera, avendo recuperato il solo indirizzo; altre non hanno mai risposto, perché forse le lettere non sono mai arrivate. Di alcune non avevo nemmeno il nome. A volte è stato un lavoro da detective.

La misura chitarristica di Bill Frisell, sempre contenuta, si sposa perfettamente con i silenzi della protagonista e del film. Mai scelta, mi permetto, fu azzeccata…

Nel mezzo del lockdown, Bill Frisell aveva più tempo del solito, è stata una fortuna per noi! Le musiche originali sono di Noël Akchoté, che le suona con Mary Halvorson nel primo cd e Frisell nel secondo. La colonna sonora si è rivelata uno splendido processo che ha visto i musicisti profondamente coinvolti nella ricerca. Hanno spedito musica dai posti in cui Highsmith ha vissuto, rendendola ancor più vera. Quanto al silenzio, gli scrittori generalmente lavorano in solitaria, devono essere soli per permettersi di produrre idee di un certo tipo.

Anche lei sente questo bisogno?

Anche io sento questa necessità, e il punto è che mi piace, non è una brutta cosa. Altra ispirazione viene invece dall’avere tanti contatti, amici. E Patricia Highsmith ha mantenuto amicizie scrivendo lettere, cercando il contatto. La descrivono come solitaria, e quando scrivi lo devi essere, ma quasi ogni sera ospitava gente in casa. In verità, non è mai stata così sola come l’hanno dipinta.