Venezia 79

Quando il cinema canta è poesia ed emozione

Nella terza giornata, l’omaggio felliniano del ‘Bardo’, una questione fra sposi in ‘Un couple’ e l’ironia del destino in ‘Aru Otoko’

Da sinistra: Griselda Siciliani, Iker Sanchez Solano, il regista Alejandro Gonzalez Iñárritu, Daniel Gimenez Cacho e Ximena Lamadrid
(Keystone)
2 settembre 2022
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Grande giornata di Cinema (la terza) a una Mostra di Venezia sempre più determinata a fare concorrenza a una multisala piuttosto che a un Festival cinematografico.

Intanto in competizione è passato uno dei film più attesi ‘Bardo, falsa crónica de unas cuantas verdades’ che il grande Alejandro G. Iñárritu ha girato per Netflix. Il regista porta sullo schermo il destino di un famoso giornalista e documentarista messicano che torna a casa per superare una crisi esistenziale: trovandosi alle prese con la sua identità, le relazioni familiari, la follia dei suoi ricordi. Il film è un omaggio al Cinema felliniano: quello delle tette eccessive, delle meditazioni cattoliche, del fantasmagorico contorno umano. Un film spettacolare, grandioso nella sua onirica messa in scena. Un film sull’identità di un popolo – quello messicano – sorto dalla distruzione spagnola e dal suo secolare dominio e sul confronto con il mondo dei "gringos" a stelle e strisce. Daniel Giménez Cacho è il Marcello Mastroianni di Iñárritu, e il suo vagare lungo il film non è solo omaggio alla felliniana ‘Dolce vita’, ma di più: viene caricato da un peso storico e politico che Marcello non aveva. E questa è l’originalità e la poesia di Iñárritu, un vero poeta dell’immaginario, uno che ti conquista lungo i 174 minuti di un film che vorresti non finisse mai, perché è specchio del faticoso camminare cercando di non morire. Applausi meritati.

In un altro pianeta cinematografico, sempre in concorso, si è visto il capolavoro di Frederick Wiseman: ‘Un couple’, film scritto insieme a Nathalie Boutefeu che lo interpreta. Alla base del film c’è la corrispondenza tra Lev Tolstoj e la moglie Sòf’ja Bers. Una corrispondenza in cui si trovano frasi come "il vizio è diventato un’abitudine per me: devo andare a letto con le donne. Altrimenti, la lussuria non mi dà un solo minuto di pace", scritto da Tolstoj alla moglie. Quello che colpisce non sono solo i 60 minuti del film necessari e utili, ma i 92 anni del regista, celebre documentarista e per la prima volta impegnato in una fiction, girata durante la pandemia. Nel film, Wiseman mette in evidenza quanto di più barbaro può esistere tra un uomo e una donna, sposi, nel momento in cui con intelligenza confrontano i propri sentimenti mettendoli in primo piano. È questo uno scontro che le onde ben raccontano quando incontrano gli scogli. Siamo di fronte a un film che molti hanno abbandonato, incapaci di reggere un’emozione diversa da quelle hollywoodianamente abituali, ed è stata una pena scoprire questa impossibilità di vedere un film senza porsi al di sopra del dettato del regista. Il cinema è anche questo quando ha il coraggio di ricordare la profondità di essere uomini citando Seneca e Byron, la musica di Weber, facendo ascoltare Mendelssohn, regalandoti la bellezza di una Cultura pura.

Nell’altro Concorso a Orizzonti abbiamo scoperto con piacere un grande film del giapponese Kei Ishikawa ‘Aru Otoko’ (Un Uomo). Forse ispirato a un capolavoro ‘A Man Vanishes’ (1967) finto documentario di Shōhei Imamura, il film di Ishikawa ci conduce in un gioco sisifanico di creazione e distruzione in cui probabilmente tutti noi svolgiamo un qualche ruolo senza rendercene conto. Il regista ci porta a incontrare Rie (una bravissima Sakura Ando), che gestisce una cartoleria. Lei è una donna divorziata che piange la perdita a causa del cancro di uno dei due figli, il minore, di soli due anni. In uno dei suoi momenti di crisi di pianto, entra nel suo negozio un giovane tagliatore di alberi e pittore per passione che si presenta come Daisuke (Masataka Kubota). Inutile dire che tra i due nasce un dolce amore che porta una nuova figlia e che regala serenità al figlio rimasto. Dopo pochi anni, Rie rimane però vedova: addolorata scopre che quell’uomo aveva un’altra identità, a dirglielo è il suo avvocato Akira (un intenso Satoshi Tsumabuki), dopo aver indagato e scoperto che Daisuke era il figlio di un condannato a morte in cerca della tranquillità che il padre gli aveva tolto, e l’identità che aveva era quella di un altro uomo che fuggiva dal suo passato. C’è ironia nel dire del destino in questo film, ma anche tanto desiderio di vita da parte di ogni personaggio. Applausi meritati.