Musica

Blak Saagan e l’elettronica degli anni di piombo

Dopo un primo concept e un nome d’arte ispirati da Carl Sagan, Samuele Gottardello rilegge la vicenda Moro. A Chiasso sabato 16 aprile alle 21

Blak Saagan (Samuele Gottardello all’anagrafe)
15 aprile 2022
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Da Carl Sagan (1934-1996), il padovano Samuele Gottardello (1972 – vivo e vegeto) ha più o meno mutuato il cognome, viaggiando attraverso lo spazio profondo nei panni di Blak Saagan dentro il disco ‘Personal Voyage’, influenzato dal lavoro del celebre cosmologo. Rientrato sulla terra, nel nuovo concept edito da Maple Death Records - Kakakids Records, l’artista italiano si cala con tutta la sua elettronica dentro le pieghe più oscure della storia d’Italia: il rapimento di Aldo Moro. ‘Se Ci Fosse La Luce Sarebbe Bellissimo’ è titolo che viene dall’ultima delle lettere scritte durante la prigionia dello statista, rapito e ucciso nel 1978 dalle Brigate Rosse. Titolo che sottende a tredici capitoli che hanno il suono di quegli anni. Per volere dell’associazione Grande Velocità, all’Ex Bar Mascetti di Corso San Gottardo 5 a Chiasso, Blak Saagan porta domani alle 21 dal vivo questo concentrato di storia d’Italia, musica psichedelica, elettronica e post-punk, elementi fondanti di ‘Se Ci Fosse La Luce Sarebbe Bellissimo’. L’occasione è il finissage della collettiva di video arte ‘Di Polvere e luce’, aperta il giorno stesso dalle 15 alle 21 allo Spazio Lampo di via Livio 16 e al Reattore B di Vicolo dei Chiesa 1, dove espongono Alan Bogana (CH), Inas Halabi (PL), Beatrice Lozza (CH), Nicolas Rupcich (CL) Benedict Drew (AUS).

Samuele Gottardello: partiamo da Blak Saagan?

Sono un appassionato di storie e di Storia, moderna e contemporanea, cosa che mi porta a essere curioso verso diverse tematiche. Mi appassionano anche le narrazioni dei singoli individui, all’interno di un contesto molto più ampio di quello storico. Sono inoltre un appassionato musicista. Ho messo le due cose insieme ed è nato il progetto Blak Saagan, unione tra narrazione e musica. Ogni volta che approccio un brano o un disco, cerco una narrazione, una maniera specifica di raccontare una storia che abbia un inizio, uno svolgimento e una fine. Nel primo disco, ispirato dall’esplorazione del cosmo, mi sono appassionato molto alla figura di Carl Sagan. Quando il progetto era ancora senza nome, ho pensato a un omaggio a una figura ispiratrice e di riferimento: il suo spirito, e la metodologia che lo ispirava, oggi ispira anche me.

Dal cosmo direttamente in via Fani: come mai Aldo Moro?

Il caso Moro s’inserisce nel mio amore per la storia, è un argomento importante, probabilmente il climax degli anni di piombo. Mi appassiona da moltissimo tempo, e con esso le tematiche della guerra fredda. All’inizio non ero molto convinto che un concept-album su Moro e sugli anni di piombo fosse una mossa così intelligente, ho temuto sarebbe stato sin troppo vintage, al limite del noioso. Man mano che procedevo con la lavorazione però, e man mano che approfondivo le vicende di un caso così complesso, mi sono reso conto che sarebbe potuta essere un’idea molto interessante da seguire. L’ho concepito cinematograficamente e brano dopo brano mi sono ritrovato in un noir, perché la vicenda Moro è una vicenda tragica, dalla strage di via Fani fino all’uccisione dell’onorevole. Ho pensato alla colonna sonora di un film che non esiste, con le coordinate visuali prodotte dai riferimenti cinematografici che mi hanno influenzato: ‘Il caso Moro’ di Giuseppe Ferrara innanzitutto, film che ho molto amato, pur nel suo aderire alla narrazione classica del rapimento, ma con l’interpretazione superba di Gian Maria Volonté.

Tra le molte parole forti delle lettere di Aldo Moro hai scelto "se ci fosse la luce sarebbe bellissimo": cosa ti ha colpito di questa frase?

Quando l’ho letta mi sono subito chiesto come mai un uomo di comprovata, forse esagerata fede cattolica avesse scelto l’uso del condizionale. Dovrebbe essere assodato per un cattolico che esista la luce, il paradiso. Moro in quel passo si riferisce a cosa sarà di lui, consapevole di essere stato condannato a morte, un condannato al quale è stato permesso di scrivere la lettera di commiato. Quel condizionale, "se ci fosse", mi ha fatto sorgere altre domande, mi ha fatto pensare al legame umano che unisce persone non credenti come me a credenti come Moro, entrambi con lo stesso dubbio, entrambi con l’auspicio che una luce esista. Il titolo funziona anche bene quale speranza di verità sugli anni di piombo e sulla guerra fredda in Italia, ancora densi di accadimenti irrisolti e ancora, dal punto di vista giudiziario, non chiusi.

Nel 1978 Samuele aveva 6 anni: hai ricordi particolari di quei giorni?

Non tantissimi. Ricordo però la pesantezza dell’aria che si respirava. Ero un bambino, spensierato, ma quando ascoltavo i grandi, e senza capire troppo di quei discorsi, percepivo la forte preoccupazione per le vicende politiche italiane. Aldo Moro, ben prima del rapimento, fu un protagonista della politica italiana, uno che partecipò alla stesura della Costituzione; i miei genitori erano di sinistra e non vedevano di buon occhio né la Democrazia Cristiana, né Aldo Moro stesso, ma ricordo perfettamente il profondo rispetto nei suoi confronti per quanto gli accadde, e l’ansia per quanto stava succedendo e sarebbe potuto succedere.

Quali sono invece i ricordi acquisiti, intesi come materiale televisivo, cinematografico, letterario sulla vicenda Moro?

Molti. Dal punto di vista letterario, ‘Morte di un presidente’ di Paolo Cucchiarelli, un libro che – pur non condividendo alcune tesi del giornalista – mi ha aperto una serie di strade parallele del caso Moro, vicenda in cui la vittima o le vittime sono pedine che partecipano a vario titolo in un gioco più grande di loro, un gioco che credono di poter controllare ma non controllano. Pur essendo un libro d’inchiesta, dettagliato e quasi maniacale nella sua ricostruzione, mi ha stimolato ad andare a fondo in una vicenda senza avere la pretesa, per quanto riguarda me, di essere onnicomprensivi e trovare la verità. Un altro libro di riferimento è ‘Patto di omertà’ di Sergio Flamigni, figura importantissima politicamente e culturalmente a livello di ricerca e divulgazione su questa vicenda. Segnalo anche ‘Che cosa sono le BR’ di Giovanni Fasanella, un’intervista al brigatista Alberto Franceschini che porta per un momento nel mondo di una persona che ha fatto una scelta precisa, estrema e tragica.

Dal punto di vista cinematografico ho già citato ‘Il caso Moro’; cito anche ‘Buongiorno notte’ di Marco Bellocchio, che non amo particolarmente ma che ha momenti molto belli come il finale, nel quale – a differenza di quanto accade nella realtà – Moro viene liberato e passeggia all’alba per le strade di Roma. Mi hanno influenzato tanto anche i film di genere degli anni 70, italiani e non, e più passa il tempo più si scoprono perle di Lucio Fulci, Ferdinando Di Leo, Umberto Lenzi, Sergio Sollima, film che mi hanno influenzato anche dal punto di vista musicale. Non da ultimi, mi sento di consigliare interessantissimi canali di divulgazione e materiali pubblicati online: su Rai Play, in particolare, si trova l’intera ‘Notte della Repubblica’, un programma che dedicò 7-8 puntate agli anni di piombo in Italia, condotto negli anni 90 da Sergio Zavoli, figura di un giornalismo che non esiste più. Una delle cose che mi ha colpito è che alcune puntate includono dibattiti con i politici del tempo, moderati da un giornalista, e nessuno parla sopra all’altro. Un altro mondo. Se ‘Personal Voyage’ è stato un viaggio geografico, ‘Se Ci Fosse La Luce Sarebbe Bellissimo’ è un viaggio nel tempo, in un tempo che se n’è andato per sempre.

In ‘Se Ci Fosse La Luce Sarebbe Bellissimo’ c’è il suono di quegli anni: quali artisti ti hanno influenzato e quali influenzano questo disco?

Dal punto di vista musicale, gli stimoli sono stati innumerevoli. Il disco precedente è stato concepito come viaggio rilassante, quello di ‘Se Ci Fosse La Luce Sarebbe Bellissimo’ è un altro stato mentale, quello della suspense, del thriller. Una figura che mi ha ispirato e m’ispira tuttora è Ennio Morricone, e tutto quanto da lui fatto per il cinema italiano. Nel disco c’è l’influenza di Brian Eno, c’è tutto il krautrock, l’elettronica ambient moderna. Adoro i lavori drone di Caterina Barbieri, adoro Abul Mogard, Alessandro Cortini, i miei amici romani Holiday Inn, e tanto post-punk, genere che ho sempre amato e che faceva capolino proprio negli anni della vicenda Moro. Dunque Joy Division, New Order, Killing Joke e anche molta new wave italiana. Gli italiani, ammaliati da figure come Ian Curtis, per esempio, con molto fai-da-te cercavano di ripetere ognuno nelle proprie salette prova quel che avevano visto e ascoltato. Me li vedo arrangiarsi, non in epoca YouTube, creando dischi molto originali. Cito la scena di Firenze dei Litfiba, quella bolognese dei Gaznevada.

Per finire, dedicato agli amanti di sigle e modelli: quali macchine hai utilizzato?

Per registrare e per aiutarmi nel live uso anche il computer, ma molto viene dalla mia ricerca nei mercatini dell’usato. Ho un’adorazione per gli strumenti minori: uso un Farfisa 205, per esempio, strumento nato per tutt’altro genere, ma che opportunamente mixato e manipolato mi accompagna da più di 10 anni. Ho una string machine della Siel, la Orchestra 2, strumento non blasonatissimo ma dal suono fenomenale; ho alcune tastiere Gem, versione molto economica della pianola da casa, tutti marchi di una nazione, l’Italia, che in quegli anni fu grande produttrice di strumenti musicali. Se ci s’informa bene, diventa chiaro che giapponesi come Roland hanno copiato, migliorandola, l’esperienza italiana, una tradizione che a livello di sintesi elettronica ha raggiunto punti altissimi. Roland è la mia marca di riferimento per le drum machine: nel disco ho usato una 505 e una 606, anch’esse meno ‘hype’ rispetto alla 808 e alla 909, modelli per eccellenza della techno e della musica elettronica. È che amo le cose inusuali, minori, che hanno bisogno della mia attenzione e io gliela dedico.


‘Se Ci Fosse La Luce Sarebbe Bellissimo’ (Maple Death Records - Kakakids Records)