Di martedì, per la prima luganese, il Lac pieno come i luna park di sabato è tutto in piedi, al cospetto di cotanto talento.
"È passato tanto tempo da quando lui non c’è più", dice una Virginia Raffaele fuori campo. Il "lui" nostalgico non è un dittatore ma il Luneur, il luna park romano nel quale l’artista è nata e cresciuta. Figlia di giostrai, "la mia ninna nanna era il rumore degli spari", dice adesso in campo, lei che piccina, nello stand del Tiro al Cinzano di proprietà della madre, ci faceva tutto, anche i bisognini ("Ore e ore a defecare in un Vietnam di tappi di gomma").
Per quando andremo in stampa, Virginia Raffaele avrà già lasciato il palco del Lac una seconda volta, dunque non sveliamo nulla se scriviamo del ‘Samusà’ di martedì sera, oltre due ore di comicità, ma meglio sarebbe ‘teatro’. Diretta da Federico Tiezzi, tra un numero di giocoleria e l’altro che nello spettacolo segnano ogni cambio di scena, dentro una minimalistica limpidezza di luci e scenografie, di quel Luneur che è l’autobiografico filo conduttore sin dall’inizio Virginia riproduce voci, visi, linguaggio e idiomi della categoria dei giostrai, e poi, più avanti, quelli della clientela. E a volte il monologo prende la via della poesia (il Papa che visita il Luneur è un gioiello).
Tra i cavalli di battaglia c’è la cantante lirica con lo smisurato vestito a fiori, momento slapstick visto a Sanremo; c’è Giorgia Maura, ragazza del Sud con lo zucchero filato in mano ("Ma è cotone"), stralunata come l’Epifanio di Antonio Albanese e di quella stessa incolpevole solitudine, che in sala qualcuno non coglie e ride come davanti a Totò. Altra solitudine è quella dell’anziana Donata, allettata ma arzilla, nella mano tremolante un telefono che sa di Franca Valeri, e un finale che non t’aspetti. C’è la sublimazione del complottista/negazionista, con la disinformazione che diventa black humor, e c’è, vestita come le Winx, Patty Pravo, col lifting a rendere incomprensibile il parlato e la descrizione dei cinque mariti tra cui Riccardo Fogli ("È tipo Margherita Hack, però magro"), quello dei Pooh ("Sono tipo i Legnanesi, però con le chitarre"). Vanoni, Ferilli, Belen, Bianca Berlinguer arrivano alla fine, dilatando il momento dei saluti in un dialogo a sei che include, direttamente da lassù, Carla Fracci, giunta a omaggiare Virginia e quel suo "zoppicante saggio di fine anno" (parole dell’étoile) per il quale un Lac pieno come i luna park di sabato è tutto in piedi, al cospetto di cotanto talento.
Fuori, poco dopo, Virginia si offre al composto manipolo di luganesi davanti all’entrata degli artisti, che è anche l’uscita. Il suo cappottino giallo finirà nei selfie dei selfisti, insieme al sorriso killer: «Mi hanno ‘spostata’», ci dice, commentando la bella, lunga, lunghissima standing ovation. «Ed è stato meraviglioso, perché è la prima volta che loro vedono me in faccia ma è anche la prima volta che io vedo loro. Perché noi, giù, siamo ancora nascosti». Poi, con inflessione marcatamente e volontariamente ferilliana, si congeda: «…e invece, quant’è bello vede’ tutti ‘sti sorisi…».