La recensione

‘L’indulgenza del latte’: colpite le certezze, la riflessione

Con battute più riuscite di altre, al Foce giovedì scorso la lettura non convenzionale del mondo LGBT della compagnia Carolina Reaper

Una struttura narrativa avvincente che si srotola su più decenni
(www.carolina-reaper.com)

Stravolgere gli stereotipi e immaginare un futuro prossimo senza disancorarsi da un passato indelebile. Tra utopia e distopia, ‘L’indulgenza del latte’, è l’ultima creazione della compagnia Carolina Reaper presentato al Foce giovedì scorso all’interno della Rassegna Mat. Questo titolo, evocativo, sonoro, ambiguo al punto giusto, racchiude tre piccoli drammi (un quarto lo vediamo in video) che impongono allo spettatore una lettura non convenzionale del mondo LGBT. Del resto il sottotitolo parla chiaro, non siamo di fronte a un’altra pièce gay. Una struttura narrativa avvincente che si srotola su più decenni. Siam sempre al 10 febbraio ma dal 2042 torniamo al 2022 e poi al 2030 e 2032: cosa succede in questi anni? Andiamo per ordine cronologico. Grazie a un attacco alle frange della destra estremista (Casa Pound) avvenuto nel 2022 (tutti muoiono avvelenati) a opera di una criptobanda chiamata per l’appunto The indulgence of milk, qualsiasi tentativo di ricreare o rifondare un gruppo omofobo viene eliminato sul nascere, vittima della stessa violenza di cui era portatore. Dieci anni dopo assistiamo all’ultimo family day di una famiglia tradizionale. L’ultima merenda, a base di ciambellone e latte, ormai rancido come il mondo che sembra marcire attorno alla loro roccaforte conservatrice. Nemmeno il latte è stato indulgente con loro. L’atmosfera è quella da bunker sotto il fuoco nemico, in realtà ciò che avviene fuori sono urla di gioia e fuochi d’artificio, a festeggiare unioni e adozioni gay. Ci sentiamo in un Paese in guerra però, dal quale il nucleo familiare vuole fuggire alla ricerca di un Paese dai valori sicuri. Yes i want it, sì, lo voglio, pronunciano due spose vestite in maniera identica in un immaginario 2042. Quella che potrebbe essere una festa dell’amore (e che apre lo spettacolo come una divertente commedia) si trasforma però in una battaglia all’ultimo sangue su chi delle due è la più adatta a portare in grembo il loro figlio: una lotta a suon di battute crudeli e qualche cazzotto.

“La gente crede di sapere come siam fatti”… e i protagonisti delle tre scene (impersonati dagli intensi ed esplosivi Andrea Tibaldi, Elena Scalet, Jacopo Fracasso, Matteo Barbè e Paui Galli) tentano di sfatare ogni stereotipo attorno alla comunità gay. Nel complesso, ci sono rabbia e violenza, ma anche tanto amore e qualche complicità. Con battute più riuscite di altre, la drammaturgia di Patrizio Luigi Belloli e Livia Castiglioni va a colpire alcune certezze e porta irrimediabilmente alla riflessione. E ci accorgiamo che, passato o futuro, destra o sinistra, di indulgenza ne è rimasta davvero poca al mondo.