Dal Festival di Cannes alla candidatura svizzera agli Oscar, il giovane regista racconta di un’atleta ucraina in esilio durante la rivoluzione
Siamo nel 2013 in Ucraina: il governo guidato da Viktor Janukovyc sta per sospendere i preparativi per la firma di un accordo di libero scambio con l’Unione europea, decisione che porterà a violente manifestazioni pro-europee, proteste che non riguarderanno solo la sospensione dell’accordo ma anche la corruzione delle autorità filorusse, gli abusi di potere, la brutalità delle forze dell’ordine.
Ma per Olga queste tensioni restano sullo sfondo: in primo piano, per lei e per le sue compagne, c’è la ginnastica, i campionati europei ai quali spera di poter partecipare con la nazionale ucraina. Il fatto che la madre, giornalista critica del governo Janukovyc, debba lavorare fino a tardi è più che altro una seccatura per i suoi allenamenti.
Un attentato alla vita della madre cambia tutto: per proteggerla, Olga viene mandata in Svizzera, dai parenti del padre morto anni prima. Un esilio ideale per dedicarsi completamente alla ginnastica: il caso vuole che si ritrovi vicina al Centro nazionale dello sport di Macolin e che, in quanto figlia di un cittadino svizzero, possa far parte della nazionale elvetica e partecipare ai campionati europei. Ma se cambiare nazionalità e squadra è questione di qualche firma, è difficile ignorare i rischi che a Kiev corrono la propria madre, rimasta lì per combattere, e i propri amici.
Elie Grappe si muove tra sport d’élite e politica per il suo lungometraggio d’esordio che prende come titolo il nome della protagonista, ‘Olga’. Il suo era uno dei progetti nazionali selezionati nel 2020 dal Locarno film festival per il concorso Films After Tomorrow, dedicato alle produzioni bloccate dalla pandemia. Come ci ha raccontato il giovane regista – nato a Lione nel 1994, ha studiato all‘École cantonale d’art di Losanna –, le riprese sono state interrotte dal primo confinamento, costringendo la troupe a un lungo stop anche per via del rinvio dei campionati europei di ginnastica. Ma finalmente il film è stato ultimato e le soddisfazioni, per Grappe, non sono mancate: selezionato alla Semaine de la critique del festival di Cannes dove ha vinto il premio Sacd (Société des Auteurs et Compositeurs Dramatiques) e poi la decisione dell’Ufficio federale della cultura di proporre ‘Olga’ per l’Oscar al Miglior film internazionale. «Per un giovane regista al suo primo lungometraggio è un grande onore e soprattutto una grande emozione» ci ha spiegato Grappe.
Il progetto di ‘Olga’ è nato nel 2016: a ispirarlo la storia di un musicista ucraino che il regista aveva conosciuto per un cortometraggio dedicato al mondo della danza classica. Ma ‘Olga’ è una storia di finzione – sceneggiata da Grappe insieme a Raphaëlle Desplechin – con personaggi di finzione, anche se il regista ha scelto di rivolgersi ad attrici non professioniste per i ruoli chiave. Olga è la brava Anastasia Budiashkina, la sua amica Sasha l’intensa Sabrina Rubtsova, entrambe atlete di riserva della squadra ucraina, così come le altre ginnaste che compaiono (nella squadra svizzera si vedono anche le ticinesi Thea Brogli e Caterina Barloggio), e questo – ci ha spiegato il regista – per una questione di “intensità” e “verità” della recitazione, per quanto abbia ovviamente comportato maggiori difficoltà in fase di realizzazione, soprattutto dovendo adattarsi agli impegni sportivi. «Ma la dedizione alla quale queste ragazze sono abituate è stata fondamentale» ha concluso Grappe.
Il film, come detto, si muove tra sport d’élite e politica: Olga combatte per essere selezionata e partecipare agli Europei, ma al contempo vorrebbe combattere per la libertà del suo Paese, l’Ucraina. Mai temuto che un aspetto potesse offuscare l’altro? «No, anzi – la risposta del regista –: il mio obiettivo era rafforzarli l’uno con l’altro, lo sport».
Olga finalmente arriva agli Europei e finalmente l’Ucraina si libera di Janukovyc. Il finale del film è però un altro. «Ma non voglio parlarne in dettaglio, per non rovinare la visione agli spettatori: mi limito a dire che volevo che apparisse che la ginnastica, nonostante tutte le difficoltà dello sport d’élite, è un’esperienza positiva che non ci si lascia completamente alle spalle».