Intervista a Davide Macaluso, la cui celesta sarà protagonista del concerto di lunedì 21 giugno a Carabbia
Lunedì 21 giugno la Chiesa parrocchiale di Carabbia, ospiterà, alle ore 20.30, il secondo appuntamento di Ceresio Estate, dedicato alla celesta, strumento a tastiera il cui suono cristallino viene normalmente relegato a luccicante ciliegina sulla torta orchestrale, ma che in questo caso vestirà i panni del protagonista. Ci introduce al concerto Davide Macaluso, che accompagnato dal Quartetto Indaco ci trasporterà in un universo di suoni suggestivi e sorprendenti.
Come ti sei avvicinato alla celesta e alla figura di Luciano Sgrizzi?
È accaduto un po’ per caso. Qualche anno fa, in seguito ad una mia performance di musica contemporanea al Conservatorio della Svizzera italiana, sono stato avvicinato da Lucienne Rosset, la quale dopo aver letto al mio curriculum mi ha coinvolto in un progetto a detta sua “strano”, per cui mi trovava particolarmente adatto. Questo progetto nasceva attorno alla figura di Luciano Sgrizzi - pianista e clavicembalista attivo a partire dal 1947 presso la RSI - ed in particolare alla volontà di eseguire nuovamente il brano “La Pendule Harmonieuse” di Pick-Mangiagalli, forse l’unico brano originale per celesta solista, registrato dallo stesso Sgrizzi proprio per la RSI. Io sono sempre stato molto curioso nell’avvicinarmi alla musica, dunque mi sono subito lanciato in questa avventura, che mi ha portato nuovi stimoli. Nel 2019 abbiamo realizzato un primo concerto, incentrato sul brano di Pick-Mangiagalli; in previsione del concerto per Ceresio Estate abbiamo elaborato un evento-omaggio più approfondito, con la composizione di un brano dedicato a Sgrizzi che verrà eseguito in prima assoluta.
Come è possibile “trasformare” la celesta in strumento solistico?
Credo che il segreto stia nello sganciarsi dall’idea comune della celesta come strumento orchestrale e coloristico. Mi sono chiesto: cosa posso creare con questo suono? E il risultato è stato sorprendente. In orchestra la celesta spicca generalmente con sonorità acute e pungenti. Utilizzando invece la celesta anche nel registro grave si scopre un suono soffice e pieno, a tutti gli effetti solistico, che avvolge e si lascia avvolgere dal timbro degli archi.
Come è nata la collaborazione con il Quartetto Indaco?
Un po’ per caso. Stavo cercando un quartetto d’archi e mi è stato consigliato, sia a livello musicale che umano, di rivolgermi a loro, che conoscevo naturalmente di fama. Alla mia proposta di collaborazione ho ricevuto immediatamente una risposta positiva. Il Quartetto Indaco è un quartetto aperto alla musica nuova, curioso, un po’ come me. Ritengo sia essenziale fare le cose con l’entusiasmo dei bambini: se così non fosse probabilmente non sarei mai arrivato né alla celesta né a questo progetto.
Torniamo a Luciano Sgrizzi: cosa ti ha colpito di più della sua figura?
Prima di intraprendere questo progetto non conoscevo Luciano Sgrizzi ed in seguito me ne sono vergognato. È stata una personalità musicale molto interessante ed ha una discografia importante, specialmente dal punto di vista cembalistico. Più di tutto mi ha colpito il suo eclettismo: basti pensare che è stato “scoperto” mentre faceva il pianista di pianobar e in seguito, mentre lavorava per la Rsi, è stato uno dei primi a recuperare la musica di Monteverdi nella sua purezza. La figura di Luciano Sgrizzi è diventata per me un punto di riferimento, mi sento molto affine a lui.