laR+ Aspettando Sanremo

Nina, Sara e gli invisibili: Ermal Meta nella ‘Tribù urbana’

Al Festival con una ballad, ‘Un milione di cose da dirti’, e dal 12 marzo l'album: ‘È il movimento dell’umanità, importante come il sangue che circola’

Ermal Meta (foto: Emilio Timi)
25 febbraio 2021
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‘No satisfaction’ si fa sentire, il brano di Sanremo ancora no. Ma è questione di giorni. Il già vincitore di Festival Ermal Meta, nel frattempo, presenta ‘Tribù urbana’, l’album che le contiene entrambe (dal 12 marzo su etichetta Mescal). «Non mi aspetto di andare lì a fare una scorpacciata», garantisce Ermal. «Ci vado perché, in questo momento, l’Ariston è l’unico palco sul quale si può fare musica dal vivo».

Tre anni fa, la coppia rinominata Metamoro o Morometa vinceva il Festival della Canzone Italiana con ‘Non mi avete fatto niente’, uno dei sei episodi di Ermal in Riviera, incluse le esperienze negli Ameba 4 (2006, ‘Rido… forse mi sbaglio’) e ne La fame di Camilla (2010, ‘Buio e luce’). Ora è la volta di una canzone d'amore: «L’ho scritta tre anni fa, era da poco iniziata la mia carriera da solista e la mia vita era piena di piccole e grandi scosse d’assestamento. Emotivamente in trappola, l’unica cosa che potevo fare era scrivere. Mi sono messo in gioco parlando con qualcuno che in quel momento non c’era». Sono i dieci minuti di gestazione di ‘Un milione di cose da dirti’, il brano in gara a Sanremo, un testo «vomitato in maniera istantanea» dentro «una canzone d’amore verticale, che parte da terra, cerca di salire e non sai dove va a finire». Che non è «né un ‘e vissero felici e contenti’ e nemmeno un ‘è finita così’».

‘Un milione di cose da dirti’ è la prima ballad di Meta a un Festival: «Non mi sento un pesce fuor d’acqua se per caso, dopo ‘Vietato morire’ e ‘Non mi avete fatto niente’, qualcuno mi voleva ancora lì a generare quel tipo di risposta. Sembra che le canzoni d’amore stiano solo a Sanremo, ma non vale per me, io di canzoni d’amore ne ho scritte tante». Amore da cantarsi all’Ariston senza pubblico: «Fa strano a Sanremo, platea appassionata, almeno sino a una certa ora. Ma in questa edizione il ruolo più difficile sarà quello dei due conduttori, che dovranno parlare per ore davanti alle sedie vuote. Noi cantanti, invece, tre minuti e mezzo e poi ce ne andiamo...».

Nella serata delle cover, giro di boa del giovedì introdotto da Tony Renis nel 2004, Meta si presenta con il monolite ‘Caruso’, malgrado giovedì prossimo sia il 4 marzo di ‘4/3/1943’ dello stesso Dalla, nata ‘Gesubambino’, cambiata nel titolo perché irrispettosa, ‘sfoltita’ dalla censura del Sanremo 1971: «Mi ha fatto notare la corrispondenza di date la mia fidanzata qualche settimana fa». Lui, comunque, ha scelto ‘Caruso’ perché «era la canzone che tutti mi avevano sconsigliato di fare, e io per natura vado contro i consigli, anche quelli piu saggi. Magari sbaglierò, ma mi ci voglio misurare. Non con Lucio Dalla, ma con questa canzone. Perché con Lucio Dalla è impossibile confrontarsi».

Ermal tifa Napoli, più che attaccante si sente mediano («Cito un mio collega»), tra Messi («Si nasce») e Gattuso («Si diventa») sceglie Gattuso («Ha sollevato la Coppa del Mondo, la volontà batte il talento») e omaggerà ‘Caruso’ con la Napoli Mandolin Orchestra, ensemble di 12 mandolinisti ridotti a 4 per questioni di sicurezza: «Ne ho registrato una take piano e voce, l’ho mandata a Diego Calvetti – che per lui, all'Ariston, dirigerà l'orchestra, ndr – e gli ho chiesto un arrangiamento degno della grandezza della canzone. Ho suggerito dei mandolini, che per me sono la napoletanità, e ho chiesto che fossero di Napoli. È stato lui a parlarmi della Napoli Mandolin Orchestra. Molto gasato, ho detto sì». Sebbene la canzone napoletana non sia il suo brodo primordiale, Ermal sente un legame molto forte con la città: «Sono albanese, ma la prima volta che ci sono stato mi sono sentito a casa, non so perché. Credo che Napoli sia una rappresentazione della nazione. E chi non capisce Napoli, anche musicalmente, non può capire l'Italia intera».

‘Nina e Sara’

‘Tribù urbana’, il nuovo album, si apre con un inno da stadio, ‘Uno’: «Di solito m’immagino di scrivere sul palco, stavolta ho fatto il contrario, mettendomi in platea, nei panni del pubblico, che ai concerti ci va soprattutto per cantare. E ho scritto anche cose da cantare a squarciagola». A metà tra synth-pop e cantautorato, lungo ‘Tribù urbana’ l’orecchio si ferma su di un brano che avrebbe vinto questo e qualsiasi altro Festival a mani basse: la 16enne Nina ama la coetanea Sara, malgrado la madre (“Tu non sai veramente cosa voglia dire, ti sei sposata soltanto per riparare, per difendere me dalle lingue amare”): «Mi fa una tristezza infinita parlarne. Per quel che riguarda i sogni, oggi andiamo su Marte, siamo mille anni luce avanti. Su quello che conta, invece, sulla libertà individuale, siamo fermi al Medioevo». Ambientata nell’estate immaginaria di un sud Italia del 1987, «ma la storia vera è del 1997», ‘Nina e Sara’ è vita vissuta: «A 16 anni avevo una fidanzatina, un’anima in pena della quale non ero in grado di capire cosa avesse, e nemmeno lei era in grado di spiegare; ci lasciammo e dopo 2-3 anni la ritrovai felice, fidanzata con una ragazza. A 16 anni, il tabù era talmente forte che non riusciva nemmeno ad ammettere a sé stessa che amava le ragazze, per la rabbia si faceva del male da sola. D'altra parte, la società non le aveva dato strumenti per comprendere che non stava facendo nulla di sbagliato. C’è una strada molto, molto lunga da percorre da questo punto di vista». In un’immagine che, dichiaratamente, viene da ‘Anna e Marco’ di Lucio Dalla, alla fine Nina e Sara “le hanno viste insieme”. Una dice all’altra: “La felicità non te la posso garantire, ma la tristezza te la posso risparmiare”.

Il movimento dell'umanità

In ‘Tribù urbana’ c’è posto anche per ‘Gli invisibili’, quelli che “vedi quasi sempre sullo sfondo” e che magari un giorno “salveranno il mondo”. «Di sentirmi invisibile, e di esserlo, mi è successo per anni. Quando ero autore per altri interpreti mi faceva strano ascoltare le interviste di miei colleghi in cui raccontavano com’era nata quella determinata canzone, quando in realtà l’avevo scritta io, e di com’era nata loro non sapevano nulla. La cosa mi faceva sentire parecchio invisibile». Aggiustando il tiro: «Nessuno ha detto nulla di male, perché non ero io a cantarle. Era solo che volevo dare faccia e voce alla mia musica».

‘Tribù urbana’ ha un piccolo sussulto autobiografico in una ermalmetiana ‘Che fantastica storia è la vita’: come in Venditti, ne ‘Il destino universale’ sfilano Yusuf che “ha 15 anni”, “il deserto sulla pelle” e “davanti agli occhi un grande mare”; sfila Tommaso che “ha 40 anni e tre bocche da sfamare ma si affoga nei bicchieri”. Sfila anche Ermal che “ha 13 anni e non vuole morire”: «È il movimento dell’umanità, che è importante, è come il sangue che circola. Io che ho lasciato la mia terra a 13 anni ne sono la testimonianza. Non sapevo cosa avrei fatto, ma sapevo che dovevo andare via per un bene più importante».