Non c’è nulla che fermi un festival come Cannes, perché quella del direttore Frémaux è prima di tutto un’idea di Cinema. Peccato manchi la Palma d'oro
Non c’è nulla che fermi un festival come Cannes. Non ci sono guerre, né fredde né con torri che cadono, non c’è un 11 settembre per questo festival; c’è il coraggio di esistere. E se negli ultimi anni aveva puntato, unico tra i festival, al virtuale, con interi settori del suo mercato ad affrontare come base la comunicazione, l’essere virtuale, ecco la sua sublimazione: essere Cannes senza Cannes. Inutile pensarlo altrimenti, l’edizione 2020 del Festival c’è. Non è un’iperbole, è Cannes.
Il suo direttore Thierry Frémaux ha deciso di sublimare l’idea che il cinema sia fatto della stessa materia dei sogni. E anche fare un festival è un sogno e c’è il coraggio di condividerlo, come in un gioco di bambini, con la serietà dei grandi. Ed ecco che l’atteso Nanni Moretti andrà a Venezia, ma cosa importa: si perderà una delle selezioni più belle di questo Cannes che più di un festival è un’idea di Cinema, di quel cinema che più delle sale riempie la storia di un’arte, che più di un incasso pensa a una Pietà Rondanini. Ecco se si pensa a Cannes si deve ripensare a un’arte, quella cinematografica capace di superare le febbri spagnole e i virus, di esistere perché rappresentata, perché nessun virus la può contaminare, solo il fuoco all’inizio della sua centenaria storia. Ed ecco la sublimazione di quest’arte, ecco l’idea mozartiana del “Madamina, il catalogo è questo” Thierry Frémaux novello Leporello riporta il cinema alla sua erotica essenza, il dire per esistere.
Cinquantasei film ecco l’elenco, ci dice Frémaux, divisi scientificamente e amorevolmente in “Les Fidèles” ovvero i film di autori già noti al festival, poi “Les Nouveaux Venus” ovvero gli autori che si affacciano al Festival. E anche “Un Film À Sketches”, un film con tanti autori com’è non a caso, vista la situazione oggi di Hong Kong: ‘Septet: The Story Of Hong Kong’ di Ann Hui, Johnnie To, Tsui Hark, Sammo Hung, Yuen Woo-Ping et Patrick Tam, perché Cannes non è un festival lontano dal mondo, ma racconta il mondo, incide sul pensiero. Ci sono anche le opere prime, le commedie, i documentari e i film d’animazione tra cui l’attesissimo ‘Soul’ di Pete Docter.
Ma il leggerlo così già regala sogni e il pensiero, forte, di quando vederli. Pensiamo a ‘The French Dispatch’ di Wes Anderson "una lettera d'amore nei confronti dei giornalisti” come ha detto il regista e i trailer già ti annunciano un imperdibile divertimento, e se pensate al cast immaginatevi il tappeto rosso di Cannes con Benicio del Toro, Frances McDormand, Jeffrey Wright, Adrien Brody, Tilda Swinton, Timothée Chalamet, Léa Seydoux, Owen Wilson, Mathieu Amalric, Lyna Khoudri, Stephen Park, Bill Murray e Christoph Waltz. Perché Cannes è anche la presenza del Cinema, registi,l attori, dive, produttori, fotografi, gente che chiede autografi, feste, ville illuminate e yacht splendenti, e champagne, e soldi e mercato. E ci sono ‘Été 85’ di François Ozon, che corre sui ricordi e ‘Asa Ga Kuru’ (True Mothers) di Naomi Kawase che ci mette davanti a un’adozione e a una madre naturale che torna e l’oggi ci sputa addosso. E Steve McQueen porta due film: ‘Lovers Rock’ e ‘Mangrove’ dedicati a George Floyd, all’essere negri nel mondo oggi. Spulciando tra il ricco programma aspettavamo di vedere ‘Peninsula’, il seguito del clamorosamente emozionante ‘Train to Busan’ di Sang-Ho, un film coreano che rende l’idea del virus e del contagio come lo abbiamo vissuto in chiave horror. E se ‘In The Dusk’ (Au crépuscule) di Sharunas Bartas, in un festival normalmente condotto sarebbe uno dei favoriti alla Palma raccontando della resistenza lituana all’invasore russo nel 1948, non da meno lo sarebbe ‘Souad’, film egiziano firmato da Ayten Amin sul suicidio e sul perché di questo gesto nell’Egitto di oggi.
Perché Cannes al di la del mercato è un festival di cinema vero, come dimostra questa selezione non più virtuale ma reale perché ogni film avrà la possibilità di dire “presentato a Cannes 2020". È mancato solo in coraggio di mostrare i film a una giuria e di dare un palmares adeguato alle scelte del direttore: ecco quello che manca a questo Cannes 2020, una Palma d’Oro