Intervista al cantautore, a Lugano il 7 novembre: ‘Perché Leopardi? Per dimostrare che tutti amano la vita, anche quelli che sembrano non amarla per niente’
Il poeta canta gli eroi, come da antologia e con tutti i rimandi a piè pagina. C’è il ciclico e abbreviato Calvino di ‘In una notte, un viaggiatore’, deja-vu di “storie che cominciano e non si sa mai come vanno a finire”; c’è il Leopardi de ‘L’infinito’ per intero, che “i napoletani sono tutti lazzaroni e pulcinelli”, e “sempre al banco del Lotto”; ci sono gli eroi letterari e quelli musicali, come il Guccini che dall’Appennino torna a far roteare la consonante in ‘Ti insegnerò a volare (Alex)’, dove Alex è un altro eroe, moderno, Zanardi. E poi ci sono gli eroi al fronte, come Ayse, giovane curda che combattè l’Isis raccontata in una lettera in verità mai scritta al suo amore (“Niente di epico, tutto semplicemente umano”), e Giulio Regeni, che per la madre “è di là che dorme, e l’aria che vien su da Grado lo accarezza in fronte”. Sembra davvero tenerci a questa vita “che si ama”, il Professor Vecchioni, che in dodici canzoni per le quali ‘download’ è aramaico torna a far lezione a Lugano il 7 novembre (Palacongressi, ore 20.30, info su www.horangmusic.com e biglietti su www.biglietteria.ch). Lo fa, ritratto da Oliviero Toscani, in una cosa che è per metà concept e per l’altra metà teatro-canzone, ma che sempre letteratura è.
Professore. All’inizio del cd lei spiega splendidamente tutto di questo disco e io faccio molta fatica a trovare la prima domanda. Facciamo così: ce n’è una che non le hanno ancora fatto? Nel caso, utilizzando il metodo Marzullo, vuole farsi una domanda e darsi una risposta?
(Ride, per fortuna, ndr). Guardi, ne avrei tante di domande. Beh, la prima è perché nel 2019 a uno viene in mente di fare un album, direi, tosto, classico e addirittura solo su disco e su cd...
Questa, in effetti, gliel’avrei fatta. Inutile cercarlo nei negozi digitali, non si trova il becco di una traccia...
No, non ce ne sono, ma non è solo quello. È anche perché ho visto lo stupore negli occhi di Guccini e di altri cantautori amici miei degli anni 70 nel vedermi tirar fuori dodici inediti come si scrivevano una volta. Sono conscio di essere su una linea di letteratura musicale ormai obsoleta, visto che la letteratura musicale che va oggi è quella, per carità, anche bella del rap e della trap. Di certo, questa non è una scommessa commerciale, semmai, a settantasei anni, è una scommessa di vita, è qualcosa che mi permetto di fare perché avevo semplicemente una straordinaria voglia di farlo.
Le chiedo subito perché Leopardi...
Leopardi è l’esempio tipico per dimostrare che la vita la amano tutti, anche quelli che sembrano non amarla per niente. Era una specie di sfida prendere il più pessimista di tutti al mondo e far capire che dentro quel pessimismo c’era comunque un amore per la vita non riconosciuto e non ricambiato. Il tema di tutto il disco è amare quel che si fa, quel che si vive, e Leopardi cadeva a fagiolo. E poi erano tanti anni che volevo scrivere una cosa su di lui, che mi permetta di dire, non è una canzone, è un canto scenico, perché è parlata, gesticolata. Dal vivo diventa teatro, ed è il pilastro del disco.
Nel suo, di ‘Infinito’, lei recita uno degli estratti delle lettere di Leopardi al padre, in cui il poeta cita il ritornello di una canzone, “Io te vojo bene assaje e tu non pienz’a me”; Leopardi spiega al padre che l’autore di quel brano “in due versi ha scritto quello che io ho scritto in settemila pagine”. C’è il verso di un poeta nel quale si potrebbe riassumere tutta la produzione di Vecchioni?
Beh, mi va bene Quasimodo sa? Mi vanno bene quei due versi famosissimi, “Ognuno sta solo sul cuor della terra trafitto da un raggio di sole: ed è subito sera”.
E c’è un poeta che, ascoltandola, direbbe: “Caspita, in ventisette album quel Vecchioni ha detto quello che io ho detto in tutte le mie poesie”...
Ma vede, io sono un uomo del Novecento e quasi tutti i poeti del Novecento io li ho amati, idolatrati. Direi di sì. Ci sono poeti che hanno una tematica molto vicina alla mia. Non la vita eh, la tematica, perché la mia vita non è dispersiva e strana come quella di molti di loro. Ma la tematica sì. I greci, i sudamericani, e perché no, anche i nostri. Più di tutti Ungaretti, perché ha questo senso di fratellanza universale che io adoro.
In nome del giornalismo-verità, mi permetto di chiederle tutto su ‘Ti insegnerò a volare (Alex)’, sulla collaborazione con Francesco Guccini, il come, il dove, il quando e il perché.
L’idea mi era venuta già tanti anni fa, soltanto che non potevo disporre di uno strumento importante come questo disco, che è il più compatto di tutta la mia vita, il più completo. Magari non sarà il più bello, magari ci saranno canzoni più belle in altri dischi, ma è un tutt’uno, è un compact-disc. Sapevo che se glielo avessi fatto sentire gli sarebbe venuta la tentazione di farci qualcosa sopra, perché conosco i miei polli e conosco benissimo Francesco. E così è stato. Mi sono fatto un viaggio tormentato nella pioggia sull’Appennino, lui ha ascoltato e si è emozionato tantissimo. È stato il disco l’elemento vincente, non certo io.
Immagino non sarà stata una scelta obbligata. Ha offerto alternative?
Si, Francesco ha ascoltato tutto. Gli piaceva la compattezza del disco. Io gli ho lasciato la scelta, però ha voluto cantare quella canzone precisa, perché è per i giovani, contro il destino e per la nostra libertà. E soprattutto ha un andazzo che assomiglia a un sacco di sue cose, a cominciare dalla ‘Locomotiva’.
Cito dalla traccia due, ‘Formidabili quegli anni’: appurato che “gli orologi segnan l’ora che son fermi”, trova qualcosa di almeno apprezzabile, in questi anni, e come li sta vivendo?
Innanzitutto, quegli anni ci hanno dato tantissimo, hanno portato tante libertà. Poi, purtroppo, come tutte le rivoluzioni che nascono bene, è finita male, e non per colpa di quelli che l’avevano iniziata, ma per colpa di qualcuno che è arrivato dopo e non ha capito un c****, rovinando un movimento che non c’era mai stato. Un po’ come accade per questo meraviglioso movimento pacifista della Greta (sic, ‘la Greta’, ndr.) di oggi. C’è qualcuno che lo vuole rovinare e io spero davvero che non si rovini, che non diventi violento, perché è un movimento meraviglioso come lo era quello degli operai degli anni 70. Molte cose sono rimaste, la libertà, la possibilità di gestirsi, di poter discutere, anche con i professori, con i superiori, la libertà di azione per le donne, la rivendicazione dei loro diritti, tutte cose a cui oggi non si fa più caso, ma che non c’erano e sono iniziate da lì.
Un movimento, quello ecologista, identificato in una donna, tema a lei notoriamente e musicalmente caro...
Sì, molto caro, carissimo, anche perché mia moglie è assessore alle pari opportunità a Milano, lavora per le donne e io sono dietro di lei. Ogni tanto facciamo spettacoli con canzoni femminili, io e lei, cose un po’ di nicchia, che non sono come i concerti, che per altro continuano a piacermi moltissimo. La battaglia è dura, ma è da fare. Siamo in una proiezione futura in cui le donne vedono molto largo rispetto a noi uomini che vediamo solo avanti a noi senza percezione delle vie laterali.
Sempre nella stessa canzone, lei dice “Noi ci siamo fatti il culo, tocca a voi mostrare i denti”. Il ragazzo torna spesso nei suoi testi: nutre sempre la stessa speranza nelle nuove generazioni?
Prima di tutto spieghiamo che mostrare i denti non significa essere violenti. E comunque sì, ho sempre un’estrema fiducia nei ragazzi intelligenti. In Italia ce ne sono tantissimi, lei non immagina quanti ce ne siano al sud, in Calabria e in Sicilia, sempre messi da parte... purtroppo sappiamo da cosa.
Compito del poeta è cantare gli eroi, che nel suo caso si chiamano Alex Zanardi, Papa Francesco, Ayse, Giulio Regeni...
Sì alcuni sono eroi conclamati, veri eroi, altri meno o sconosciuti. E non soltanto politici, ma anche letterari come Leopardi e Calvino, due esempi fortissimi della voglia di vivere e di comprendere la vita.
C’è un eroe, grande o piccolo, al quale si è affezionato più di altri?
Adoro la canzone della ragazza curda (‘Cappuccio rosso’, nome di battaglia di Ayse Deniz Karacagil, attivista di Gezi Park, ndr) perché è una cosa che non si ferma lì, ma apre a tanto altro. Apre al discorso delle libertà, inteso come tutte le libertà.
Chiudo con Regeni che lei canta dal punto di vista della madre, uno per il quale si è compreso che la tutela dei rapporti commerciali con un altro Paese oggi conta più della verità: non crede che il suo, di Paese, abbia scarsa considerazione dei propri eroi?
La chiave di racconto è una mia scelta. Volevo uscire dalla retorica del ragazzo ucciso dagli egiziani, che hanno già usato tutti e non mi interessava affatto. Volevo che la canzone fosse simbolica. Regeni c’entra, è ovvio, ma non è il protagonista, che invece è la madre in senso universale, la madre che non vorrebbe mai che il figlio soffra o, ancora peggio, muoia. Ho preso quel caso perché è il più rappresentativo per costruire una sorta di ode alla madre. Poi, se parliamo di considerazione, l’Italia dei propri eroi non ne ha mai avuta. Pensi soltanto alla Francia, o a paesi piccoli come l’Irlanda, la Finlandia: lì celebrano i grandi e i non grandi. I cantori, per esempio, hanno statue in piazza. In Italia invece no, l’italiano mal sopporta che ci sia qualcuno migliore di lui, che voglia dargli una lezione. Siamo tutti troppo intelligenti, siamo tutti troppo furbi...