Abbiamo provato a vedere 'Natale a 5 stelle', commedia natalizia dei Vanzina, in streaming saltando le sale. Come è andata? Male
“Mi fa ribrezzo” disse Enrico Vanzina riferendosi non a un suo film, ma alla parola cinepanettone. Non senza ragioni: il termine è nato, negli anni Novanta, con intento dispregiativo e quell’aura di offesa non l’ha mai persa, bollando anche commedie che una certa dignità l’avevano.
Il fatto è che “cinepanettone” è una di quelle parole che una volta inventate (pare dal critico cinematografico Franco Montini) non se ne può fare a meno. Perché quelle commedie natalizie leggere e dall’umorismo greve – o per dirla meglio: scontate e volgari – sono davvero come il panettone: una tradizione irrinunciabile da inizio dicembre a metà gennaio e impensabile nel resto dell’anno, qualcosa che apprezzi non per la qualità, ma per la quantità e per il suo essere sempre uguale e prevedibile. Poi certo, ci sono i panettoni artigianali, magari con ripieni esotici, ma i supermercati – e gli stomaci – son pieni di quelli industriali da tre franchi al chilo. E, soprattutto, sono da consumare in compagnia. Certo, c’è chi il panettone se lo mangia da solo, ma si tratta di un’eccezione: il panettone lo si affetta quando si hanno ospiti. E il cinepanettone lo si guarda in una sala strapiena di gente che ride sguaiatamente – almeno finora.
Poi capita di essere da soli in sala a guardarsi un cinepanettone: è ad esempio capitato allo studioso di cinema Alan O’Leary, che parte proprio da quella proiezione solitaria, in seconda serata poco prima di Natale, nel suo ‘Fenomenologia del cinepanettore’ (pubblicato da Rubettino e dal quale abbiamo ripreso la citazione di Vanzina dell’inizio). E già il fatto che sia finito in un saggio che analizza il fenomeno cinepanettone – per i motivi sopraddetti, un genere a sé stante – fa capire l’eccezionalità della visione solitaria. E lo stupore del ritrovarsi un cinepanettone targato Netflix, il re dello streaming on demand, insomma di film e serie tv che ti guardi quando vuoi e dove vuoi, sul cellulare in treno, sul tablet a casa, sul computer al posto di lavoro. E per quanto sia possibile mettersi in più persone davanti a quello schermo, in genere non si arriva a più di due.
Potremmo leggere ‘Natale a 5 stelle’ – questo il titolo del cinepanettone di Netflix – come un nuovo campo di battaglia nella guerra dello streaming al cinema tradizionale. Ma se per i film d’autore ci sono delle vittorie – vedi ‘Roma’, il film di Alfonso Cuarón Leone d’oro a Venezia –, qui assistiamo a una sconfitta. Perché il risultato è a dir poco mediocre, persino per gli standard dei cinepanettoni.
Ma il sospetto è che non si tratti di una battaglia tra nuovi e vecchi media, bensì di una questione di autarchia: si insiste, in Italia e non solo, affinché le piattaforme di streaming abbiano una non trascurabile presenza di produzioni nazionali. Netflix in Italia ha già prodotto alcune interessanti serie – ‘Suburra’, ‘Baby’ – ma magari serviva confezionare un film entro l’anno e così si è deciso di finanziare qualcosa di veloce, e sul mercato non si è trovato niente di meglio di questo progetto dei fratelli Vanzina (Carlo, morto lo scorso luglio, ha scritto il soggetto prima che la malattia si aggravasse, affidando la regia a Marco Risi).
Poi, ovviamente, ‘Natale a 5 stelle’ la rifiuta, l’etichetta di cinepanettone. Perché, come detto all’inizio, è denigratoria, oppure perché abbiamo effettivamente a che fare con un nuovo filone, con meno volgarità e incentrato sulla comicità politica?
Avendo già un abbonamento a Netflix, la risposta richiede solo un’ora e 35 minuti. Per cui ecco, accendiamo il computer, accediamo a Netflix… e ‘Natale a 5 stelle’ non c’è. Nella schermata iniziale vedo ‘Roma’, una serie tv che sembra interessante (‘Sick note’, con Rupert Grint, il Ron Weasley di Harry Potter ormai trentenne), mi si annuncia l’arrivo di un film di fantascienza (‘Bird Box’ con Sandra Bullock), qualche commedia ma niente ‘Natale a 5 stelle’. Giusto, Netflix, al contrario dei cartelloni dei multisala, non è uguale per tutti, ma si adatta ai tuoi gusti, ed evidentemente sa che quel film non rientra nei parametri. Sto per usare il box di ricerca quando mi blocco: e se poi mi propone cinepanettoni per i prossimi mesi? Meglio creare un altro profilo (visto che l’abbonamento è familiare, se ne possono creare più d’uno). Ecco che con una nuova identità digitale ‘Natale a 5 stelle’ appare – per quanto abbastanza in fondo. Inizio la visione. Massimo Ghini è l’insicuro presidente del Consiglio del Movimento 5 stelle, in missione ufficiale a Budapest con il segretario personale Ricky Memphis. E con la parlamentare del Pd Martina Stella, sua amante. Tutto bene finché, nella camera d’albergo, non trovano il corpo di un uomo travestito da Babbo Natale: per evitare lo scandalo, devono far sparire il corpo… E sospendiamo qui. Non per non rovinare la sorpresa, ma perché dopo mezz’ora abbiamo mollato il colpo. Perché gli attori, per carità, sono bravi e un po’ di impegno ce lo mettono, ma più di tanto non possono fare. Di volgarità, va riconosciuto, ce n’è poca: giusto Rocco Siffredi, nella parte di sé stesso, che palpa un culo (vestito) con il commento di Ghini che “parliamo di un grande italiano, anzi grandissimo… enorme” – chissà se questa battuta, in sala tra le risate del pubblico, un sorriso ce lo avrebbe strappato – e Martina Stella che recita in biancheria intima per almeno venti minuti.
Il perno della comicità dovrebbe infatti essere la politica. Ma è un disastro, per quanto la colpa non è solo di una sceneggiatura scialba: quando hai un vero presidente del Consiglio convinto che ‘path’ in inglese significhi ‘patto’ invece di ‘cammino’ o un vero senatore che, facendo confusione con Cesare Battisti, chiede l’estradizione di Adriano Sofri dal Brasile, come puoi ridere di fronte a un falso presidente del Consiglio che, salutando la delegazione ungherese, stringe la mano anche al giardiniere che passa per caso di lì?
Forse hanno ragione: ‘Natale a 5 stelle’ non è un cinepanettone. È un cinepanettoncino, di quelli monodose che prendi giusto perché sono in offerta e ti mangi, un po’ sconsolato, a colazione.