TICINO7

Arto Lindsay: una chitarra fra Rio, New York... e Bellinzona

Il 15 settembre il cervello della No wave e di tanto altro si esibirà al Teatro Sociale.

(Anita Boa Vida)
8 settembre 2018
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Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, disponibile anche nelle cassette di 20 Minuti per tutto il fine settimana.

Un musicista che fa altre cose. Si presenta così Arto Lindsay, chitarrista atipico, cantante, autore, produttore con un piede a New York e uno in Brasile. E spiega: «Puoi anche pensare a queste altre cose – leggere, ballare, tradurre, inscenare cortei e installazioni – come modi di fare musica. Oppure puoi pensare alla mia musica come se fosse un’altra forma d’arte». 

Interzona

Gli piace spiazzare, insomma, e la sua musica è proprio lì a dimostrarlo: dalla sottocultura musicale no wave che contribuì a forgiare coi suoi D.N.A. sotto la benedizione di Brian Eno – insegnando al mondo che «non c’è una vera differenza fra ciò che la gente chiama melodia e ciò che chiama rumore» – al punk jazz dei Lounge Lizards, fino al ricercato pop degli Ambitious Lovers e a lavori solisti nei quali elettronica e bossa nova, sensualità musicale e versi ermetici si incontrano e scontrano senza tregua. «Voglio offrire un’esperienza totale», ci spiega del suo ultimo album, Cuidado Madame (Northern Spy Records/Ponderosa Music & Art, 2017). Un viaggio fra tropici e lande gelate, un’esperienza al contempo fisica e ascetica, giocata su un meccanismo originale: «Separare gli estremi, e chiedere all’ascoltatore di saltarci in mezzo». 

Un americano in Brasile

Figlio di missionari presbiteriani, Lindsay è nato in Virginia, ma è cresciuto in Brasile. Il suo primo ricordo musicale è «mia mamma che suona il piano. Forse Chopin...?». 

Scrive e canta in inglese e portoghese, senza per questo voler risolvere il paradosso fra l’influsso americano («correre via dalle parole») e quello brasiliano («correre incontro alle parole»). Un paradosso che si ritrova nel modo unico di suonare la sua sei corde, insieme fluido e percussivo, levigato e ruvido: «Ho sviluppato questo stile da giovane, e ho deciso di continuare così invece di competere con Jimi Hendrix», racconta col suo consueto dry humour a pochi giorni dal concerto al Teatro Sociale di Bellinzona (il prossimo 15 settembre), nell’ambito del festival Babel.

Che poi dici Brasile, e pensi subito alla ragazza di Ipanema: tutto un dolce ancheggiare sul bagnasciuga, passi lenti di pantera, cose così. E di certo il Brasile di Lindsay ingloba anche quello di Jobim e de Moraes, della bossa e della samba canção: una tradizione «che come tutte quelle della diaspora ha le sue forme peculiari di tenerezza e resistenza», il cui ritmo «si può suddividere fra le varie parti del corpo, scegliendo cosa seguire e cosa ignorare». 

È abbastanza? Non basta...

Ma tornano anche le sonorità tradizionali di antichi culti sincretici come il Candomblé: donde il recente ricorso agli atabaques, «tamburi che possono suonare sia lo schema ritmico che la melodia». Un’esperienza quasi mistica: «Gli atabaques sono usati per indurre uno stato di trance. Ti aiutano a concentrarti e danzare, ma allo stesso tempo tentano di farti inciampare. Cercano di farti cadere fuori da te stesso». Per capire cosa intende basta ascoltare la splendida Unpair, inedito mix di tropicalia e noise, o Vao Queimar Ou Botando Pra Dançar, marcia tribale che affida la sua ascesi al virtuosismo del Lindsay chitarrista. La storia che si delinea ascoltandolo è dunque quella di un chierico vagante, un poeta e un intellettuale, un uomo che fa stridere i piani della sua coscienza come placche tettoniche, ed è da lì che nasce la sua musica: ben sapendo che poi, come cantava qualche anno fa, «gli abbastanza non sono mai abbastanza».

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IL CONCERTO

Arthur Morgan Lindsay , classe 1953, da oltre quarant’anni si muove tra musica e arte. Come membro dei D.N.A. ha contribuito alla fondazione della no wave, una sottocultura musicale con epicentro New York legata al punk, virando poi verso un pop intensamente sovversivo, ibrido di stili nord e sudamericani. Durante la sua carriera ha collaborato con vari artisti, come Caetano Veloso e Matthew Barney, Gilberto Gil e Laurie Anderson, Vito Acconci e i Lounge Lizards, Jean-Michel Basquiat e Kara Walker, John Zorn e Ryuichi Sakamoto, Rirkrit Tiravanija e gli immortali Einstürzende Neubauten.

«Quando si parla della musica di Arto Lindsay, la dicotomia è chiara: la sua musica fa paura, la sua musica è sexy. Fa paura: è serrata, insinuante, insolente e quasi spiritata – forse evoca i rumori e i bagliori di New York. Ed è sexy: seducente e calda e materica ed eterea – evoca il sole e le lunghe ombre del Brasile. E la sua musica è sempre onirica. È il sogno che può essere incubo e può essere volo».

Nell’ambito del festival Babel – dove proprio il Brasile è l’ospite d’eccezione –, insieme al percussionista Marivaldo Paim Lindsay risolve la dicotomia: unisce la sensualità alla paura, portandoci la sua inimitabile gamma di melodie, filigrane, atonalità, tropicalismo, poesia, erotismo e intelletto. Cuidado Madame trae ispirazione dal culto candomblé e dai ritmi spirituali che stimolano possessioni e trance, per farsi samba e poliritmia, punk jazz e bossa nova, messa afroamericana e rituale afrobrasiliano, asfalto sciolto, terra fresca, terra nuova.

Il concerto si terrà al Teatro Sociale di Bellinzona sabato 15 settembre alle ore 21. Biglietto: prezzo speciale fr. 25.- presso l’Ufficio Turistico di Bellinzona o in prevendita su ticketcorner.ch