In America per amore della musica e perché 'lì la meritocrazia esiste'. Da stasera nelle piazze del 30esimo Blues To Bop
Farsi accettare dagli americani suonando la loro musica è un privilegio di pochi e una frustrazione di molti. Nel caso di Dany Franchi, bluesman genovese classe 1990, di stanza a Dallas Texas per gran parte dell’anno, siamo nel campo del privilegio. Col suo bagaglio d’esperienza nei festival blues più prestigiosi del mondo e gli ultimi due album incisi con il gotha dei session men del genere, Dany salirà sul palco di Blues To Bop 2018 a Lugano, tra giovedì 30 agosto e sabato 1 settembre. Gran voce, gradevolmente ‘invecchiata’ nell’ultimo album ‘Problem child’, grande gusto chitarristico, in attesa di ascoltarlo, e rispettosi del fuso orario, lo abbiamo ‘incontrato’...
Suoni con gli americani, e il tuo disco è prodotto da americani. Niente male per un bluesman italiano...
E’ un sogno che diventa realtà. Durante questi ultimi due anni ho avuto modo di collaborare con moltissimi dei miei idoli musicali nonché tra i migliori musicisti blues al mondo. Anche in passato in Europa, in verità, avevo avuto occasione di suonare con musicisti d’oltreoceano.
Come hai incontrato Funderburgh?
Ho incontrato Anson nel 2016, ma ero uno suo fan sfegatato da molto prima, ci sentivamo su facebook o via e-mail. Ero stato invitato a suonare al Dallas International Guitar Festival da Don Ritter della Category5 amps che, insieme ad Anson e dopo avermi sentito suonare, hanno deciso di produrmi. Mentre volavo da Milano a Dallas ho pensato “sarebbe davvero un sogno se il mio prossimo disco fosse prodotto da Anson Funderburgh”. Ed è successo davvero...
Com’è la tua vita ‘da americano’?
Ho sognato l’America fin da bambino, la mia prima volta fu nel 2014, ma è dal 2016 che passo buona parte dell’anno qui. Dal 2017 ho un visto artistico che mi permette di vivere e transitare liberamente. Sono di base a Dallas, dove vive il mio produttore e dove ho un posto letto garantito. Viaggio molto e non ha senso per me pagare un affitto, per ora. Qui c’è musica ovunque e una grande attenzione per il talento. E ci sono opportunità, motivo principale del mio stare qui.
Chi ti ha ‘segnato,’ musicalmente?
Quello che suona bene alle mie orecchie lo ascolto senza farmi troppe domande. Sono un blues fan, amo il blues tradizionale, il Chicago blues degli anni 50 e il Texas blues, ma anche il Soul degli anni 60, il Folk americano e tutta quella musica che qui si definisce “Americana”. A livello chitarristico le mie più grandi influenze sono B.B. King, Jimmie Vaughan, Jimmy Rogers, Albert King, Clapton, Hendrix, Ronnie Earl. Ma non cerco di assomigliare a qualcuno in particolare, non mi riesce neanche bene. Jimmie Vaughan mi ha dato il miglior consiglio: “Play what you want to hear!!” (suona quello che vorresti ascoltare, ndr).
Hai trascorsi da professionista in Italia. Cosa cambia ‘ad ovest’?
Parliamo di due paesi non paragonabili per estrazioni musical-culturali, completamente differenti. Anche negli States è difficile essere un musicista professionista, ma se hai talento e lavori duramente, qui la meritocrazia esiste.
‘Problem child’ n.4 della Bilboard Top Blues Album. Cosa è cambiato dal tuo primo cd autoprodotto?
Prima di tutto sono cresciuto io. In passato ho avuto momenti indimenticabili, ma sono anche andato vicino a mollare tutto. Chi mi conosce sa degli U.S.A., sa che volevo vivere di musica e di far parte di quella cerchia di musicisti che ammiro. Sono felice, anche dei sacrifici fatti.
Non posso non chiederti di Genova...
Quando è successo ero in America. Provo dispiacere e tanta rabbia. Un’altra fotografia dell’Italia corrotta e della noncuranza regnante. In questo momento mi vergogno di essere italiano, spero solo che chi ha sbagliato paghi. Tra pochi giorni tornerò a Genova, col cuore spezzato. Invito tutti a visitare la città. Nel godervela, contribuirete a risollevarla.