Fra domenica e lunedì al festival di Cannes anche una fetta di Ticino, in Concorso e fuori: da vedere il film dedicato da Wim Wenders a Papa Francesco, coprodotto a Lugano
Denso lunedì in un Festival dove il cielo regala nere nuvole e pioggia, dove si fanno i conti con un freddo inatteso e il direttore Thierry Frémaux si difende da chi lo critica di aver lasciato troppi film a Venezia a causa della diatriba aperta con Netflix. Piove sul bagnato, mentre il concorso corre e la stampa perde i tempi delle sue proiezioni, un dispetto che Frémaux poteva risparmiarsi. Lo stesso lo ringraziamo per aver messo in Concorso ‘Manbiki Kazoku’ (Un affare di famiglia) del giapponese Kore-Eda Hirokazu, volutamente debitore a un maestro come Yasujirō Ozu. E qui vediamo il rigore con cui affronta un tema enorme com’è quello della famiglia, declinandolo sotto un interrogativo: la famiglia è quella in cui nasci o quella in cui stai bene, in cui senti di essere rispettato, onorato, amato?
È quello che si chiedono tutti sotto il tetto di Shibata Osamu e di sua moglie Shibata Nobuyo; una nonna, un bambino, una giovane studentessa che lavora in un peep show e una bambina di cinque anni trovata, in una sera gelida, disperata e piena di ferite. Osamu accoglie tutti in una misera dimora che chiamare casa è ridicolo. A tutti offre calore, ma non lo regala, insegna a rubare ai bambini, usa la pensione della vecchia, non si cura della giovane che vende il suo corpo. È un film anche sulla miseria, sul mondo nascosto di una società che esclude bambini e vecchi dall’affetto nel nome di una velocità e di una voglia di giovinezza che tutti ha invaso. Verrà la polizia, lo Stato mette tutto a posto. Ma a pagare saranno i bimbi a cui viene tolta la felicità di vivere in una famiglia strana ma vera.
Hirokazu regala a Cannes una storia palpitante, toccando un tema, quello dei diseredati, che fallisce nel secondo film in concorso, quel ‘Lazzaro Felice’ che Alice Rohrwacher ha presentato sotto le bandiere di Italia, Francia, Germania e Svizzera (coprodotto dalla ticinese Amka Films). Una produzione internazionale che ha partorito un film autoreferenziale e macchiettistico, che trasporta il zavattiniano Totò il buono dalle nebbie milanesi alla campagna laziale, perdendone insieme all’originalità la poesia e la forza politica. Il Lazzaro del titolo ha la forza del nulla, è un poveretto sfruttato da sfruttati e perdenti. Questo è il suo destino da perpetuare in un tempo che passa per gli altri ma non per lui, inutile anche a se stesso. Il film mostra un grosso deficit narrativo e gli attori (fra gli altri Alba Rohrwacher e Nicoletta Braschi) firmano la loro presenza senza lasciare altra traccia: il confronto con il film giapponese lo affossa, qui tutto è prevedibile, vuoto e già visto. Peccato.
Pure coprodotto in Ticino è ‘Papa Francesco – Un uomo di parola’, docufilm di Wim Wenders dietro cui troviamo la luganese Célestes Images. Il film è stato presentato di domenica, sperando forse nella presenza del Papa e in un’occasione splendida: il mondo religioso nel tempio del paganesimo. Ed è in fondo questo il cammino che Wenders nel suo film ha voluto percorrere, innanzitutto rinunciando al 3D, scelta che indica come questo lavoro non sia spettacolo, ma testimonianza, una testimonianza condivisa tra il regista e il Papa per dire di questo mondo, del senso della missione dell’uno e dell’altro per indicare un cammino che l’umanità ha il dovere di compiere per non sparire.
“Viaggio iniziatico” lo ha definito il regista che si è così evidentemente immerso nel progetto da regalare allo spettatore una visione a tutto tondo del Pontefice; intervistato, seguito, studiato attraverso documentari che riguardavano l’attività in Argentina – senza però toccare il periodo della dittatura –, documentari che vedono il Papa in giro per quel globo affamato, violentato da uomini e maremoti e terremoti, fra altri uomini che cercano il pane quotidiano nelle troppe discariche del pianeta. Sono immagini di un Papa in cammino, che spiega anche ai potenti responsabilità che nessuno si vuole prendere. E la figura del Papa viene sostenuta con una parte fiction dedicata a San Francesco, girata al modo di Dreyer in un muto bianco e nero.
Il regista parla con sapienza attraverso le immagini, tante di repertorio, e si resta angosciati vedendo e ascoltando Francesco che parla davanti alla curia romana del bisogno di povertà e del dovere di seguire il cammino di Gesù nello stare dalla parte di chi non ha, nel portare in Paradiso per primo un malfattore condannato a morte; e purtroppo si vedono alti prelati guardarlo come fosse lui, il Papa, un poveruomo. Un film da vedere, per riflettere sul nostro mondo: piccolo, sporco e cattivo.
Ancora dalla Svizzera viene ‘Chris the Swiss’ di Anja Kofmel che in un serrato e accorato film d’animazione e documentario va alla ricerca di quello che era successo a un cugino morto durante la guerra in Jugoslavia in circostanze poco chiare: era un giornalista che a un certo punto si trovò armi in pugno dalla parte dei combattenti croati nazifascisti contro i serbi. Un film che porta a riflettere su come un ragazzo cresciuto in un mondo libero cerchi la guerra, un film che in parte aiuta a pensare ai tanti giovani che sono corsi a riempire le forze dell’Isis lasciando un mondo più pacifico.