Serata dedicata alla giustizia, con uno spettacolo della compagnia MaMiMò e un dibattito sulla condizione dei detenuti e delle detenute
Che cosa significa vivere in carcere? Qual è la quotidianità di una persona in quello che, nell’asettico linguaggio del diritto, viene definita “esecuzione della pena”? E, soprattutto, perché è importante conoscere questi vissuti per chi quella detenzione la vede soltanto come numero di anni o mesi indicati negli articoli di cronaca giudiziaria?
L’Istituto di diritto dell’Università della Svizzera italiana ha deciso di affrontare queste domande con un incontro che unisce la forza comunicativa del teatro e l’approfondimento con un’esperta. Venerdì 15 marzo, alle 18 nell’Aula magna dell’Usi a Lugano, avremo prima lo spettacolo ‘House we left’ della compagnia di Reggio Emilia MaMiMò, seguito da un dibattito con Antonia Menghini, professoressa di diritto penale all’Università di Trento nonché Garante dei diritti dei detenuti della Provincia di Trento. L’incontro, gratuito, è organizzato in collaborazione con rjustice.ch e lo Swiss RJ Forum; informazioni e registrazione: www.usi.ch/it/feeds/27466.
Scritto e diretto da Alessandro Sesti e interpretato da Cecilia Di Donato accompagnata in scena dai musicisti Andrea Tocci, Debora Contini e Filippo Ciccioli, ‘House we left’ racconta la detenzione partendo dai vissuti delle persone condannate o, cosa molto frequente in diversi Paesi, in attesa di giudizio. Al centro del racconto c’è una mancanza: chi vive in carcere non ha più una casa, non ha più un luogo protetto, uno spazio in cui essere sé stessi. ‘House we left’, partendo dalle esperienze di Cecilia Di Donato che è anche insegnante di teatro nel carcere di Reggio Emilia, si sofferma in particolare sulle storie di donne e di persone transgender, per le quali la dimensione del mancato riconoscimento della propria identità è particolarmente sentito.
«Ho voluto portare questo spettacolo perché racconta con forza quello che si perde lasciando la propria casa per il carcere, quei piccoli gesti quotidiani che si danno per scontati e dei quali è difficile comprendere il valore finché non li perdiamo» ha spiegato Annamaria Astrologo, direttrice dell’Istituto di diritto dell’Usi e organizzatrice dell’evento. Non è solo una questione di condizioni di detenzione degradanti o contrarie ai diritti umani: la pena detentiva, ha sottolineato Astrologo, non può limitarsi a togliere, ma deve anche dare qualcosa alle persone condannate. Perché se si limita a togliere, il carcere diventa un momento di imbruttimento, quando invece potrebbe e dovrebbe essere occasione di crescita. Si parla di reinserimento e di risocializzazione, ma sono aspetti che spesso restano sulla carta e questo è un problema che va al di là delle condizioni carcerarie e che riguarda anche la Svizzera, indietro rispetto ad altri Paesi.
L’idea di un carcere che aiuti le persone a crescere può suscitare qualche perplessità, dal momento che si parla di persone che hanno commesso dei reati e che quindi “si meritano” la punizione. «Ma il reinserimento delle persone che hanno scontato una pena è nell’interesse di tutta la società» ha risposto Astrologo. Diversi studi mostrano che il rischio di recidiva è più alto nei sistemi penali che non investono nella funzione rieducativa: «Se la detenzione si limita a togliere, è molto probabile che una volta uscite dal carcere queste persone commetteranno nuovamente dei reati». Spesso, ha proseguito Astrologo, chi commette dei reati lo fa per mancanza di strumenti ad esempio su come gestire situazioni di conflitto. Per prevenire tutto questo la società dovrebbe innanzitutto cercare di fornire questi strumenti.
Il titolo dell’incontro di domani contiene una domanda molto forte: “È possibile ‘riparare’ la giustizia penale?”. «Il diritto penale è in crisi da molti punti di vista: questo appuntamento riguarda l’esecuzione della pena, ma i problemi sono tanti e riguardano anche le vittime e al riconoscimento della loro identità e dignità durante il procedimento penale» ha concluso Astrologo.