La visione di Boas Erez al suo ultimo dies academicus, senza polemiche sulle dimissioni
Al 26° dies academicus dell’Università della Svizzera italiana a farla da padrone è stato l’oro. È di color oro la polvere che ripercorre le linee di rottura di un vaso in ceramica – "mascotte" inanimata delle celebrazioni di quest’anno, un prestito del Museo delle culture di Lugano – ricomposto seguendo la tecnica di giapponese del kintsugi, la cui particolarità è appunto di non nascondere le "cicatrici" dell’oggetto, ma di evidenziarle. È di color oro la catena portata da Boas Erez (e dagli altri rettori svizzeri invitati al dies academicus) passata di mano – o meglio, di collo – al prorettore Lorenzo Cantoni, che fino a quando non verrà trovato un successore assumerà la carica. Perché il dies academicus di quest’anno coincide con il congedo di Boas Erez dalla carica di rettore dopo le dimissioni annunciate lo scorso 22 aprile in seguito a divergenze con il Consiglio dell’Università sulla gestione amministrativa. Ma nel suo ultimo discorso non si è soffermato sulla rottura e ha preferito dare maggiore attenzione al ruolo dell’ateneo e, più in generale, al ruolo che la scienza e lo studio hanno all’interno della società.
Una riflessione che mette in luce i pregi e i difetti di un dialogo, quello tra ricerca, media e popolazione, che non sempre è reso facile. In parte per via della complessità di ciò che ci circonda, in parte anche per via della chiusura che l’accademia ha ancora nei confronti della società. Il rettore ha poi spiegato l’importanza di non "abusare della scienza" né di trattarla come fosse un dogma. Il compito dell’università in questo senso è proprio quello di «fare analisi, informazione e tener vivo il senso critico».
Come da tradizione, sono state conferite le onorificenze e quest’anno in particolare, a primeggiare vi è stata un’importante compagine femminile.
Il Credit Suisse Award for Best Teaching è andato a Laura Pozzi, Professoressa ordinaria alla Facoltà di scienze informatichetlo. Roxana Mehran, professoressa al Mount Sinai Hospital di New York, ha ricevuto il Dottorato honoris causa in Scienze biomedichet mentre Lorrie Faith Cranor, professoressa di Informatica e di Ingegneria e politiche pubbliche presso la Carnegie Mellon University, ha ricevuto il Dottorato honoris causa in Scienze informatiche su proposta dell’omonima Facoltà.
Nel suo saluto di benvenuto, la presidente del Consiglio dell’Università Monica Duca Widmer ha messo in rilievo la progressione in ambito accademico dell’Usi sotto la guida di Erez. Dal 2016, l’Usi è infatti cresciuta da diversi punti di vista: numero di studenti (da 2’862 a 3’922), personale accademico (da 917 a 1’108), numero di istituti (da 19 a 24) e fondi di ricerca competitiva (da 21,9 a 29,4 milioni di franchi). «Boas Erez, con la sua squadra, ha portato l’Usi a ottenere ottimi risultati, e di questo l’Università della Svizzera italiana è grata», ha continuato. «Restano le divergenze di vedute con il Consiglio dell’Usi sulla gestione amministrativa dell’Università», ha sottolineato però Duca Widmer, «che hanno portato alla decisione consensuale di terminare con anticipo il suo mandato quale Rettore, all’apice dei risultati dell’ateneo in ambito accademico».
L’Usi ha più missioni da portare a termine: fare formazione, ricerca e contribuire alla crescita sociale, economica e culturale del territorio. È ben presente nei principali ranking internazionali ed è ormai inserita a pieno titolo nel sistema accademico svizzero: ne è riprova, ha indicato il rettore, il recente rinnovo dell’accreditamento da parte del Consiglio svizzero di accreditamento. Ripercorrendo le tappe principali che hanno caratterizzato il suo mandato e riallacciandosi ai precedenti dies, Boas Erez ha voluto sottolineare soprattutto «ciò che davvero importa», al di là «dei numeri e delle prestazioni». Ovvero l’importanza di dar voce ai vari attori che compongono l’università. Far crescere i giovani studenti e ricercatori e dare speranza, oltre che sapienza, alle loro idee, con iniziative sul territorio, con progetti capaci di offrire un’alternativa alla sfiducia e contribuire a proporre una società più inclusiva e plurale.
Una allocuzione, quella del rettore che coinvolge e si fa coinvolgere: diverse le battute portate e toccante il momento in cui, oltre a celebrare le onorificenze, si celebrano anche le partenze. Come quelle del professor Francis Kéré, che ha deciso di lasciare l’Usi per dedicarsi ad aiutare i giovani del Burkina Faso, suo Paese d’origine, e del professor Ivan Snehota, che il mondo lo ha lasciato per sempre.
La cerimonia si è chiusa con circa 40 minuti di ritardo e da un lungo, corale applauso, tutto per Boas Erez.
Dopo la cerimonia, ‘laRegione’ ha scambiato qualche parola con Monica Duca Widmer, Presidente del Consiglio dell’Università, e Boas Erez, oramai ex rettore nonché protagonista della giornata. Entrambi si sono detti molto soddisfatti del dies. «È stato un momento molto intenso sia per noi ma anche per il pubblico», afferma Duca Widmer e, sulla stessa linea della Presidente, anche Erez conferma che «è andato tutto molto bene. Nell’insieme di voci che ci sono state, la cerimonia ha mostrato e riconfermato il fatto che siamo degni di fiducia, che la nostra Università è di una certo livello e all’altezza delle aspettative».
Lunedì 9 maggio sarà l’ultimo giorno di Boas Erez come rettore dell’Usi. Avete già pensato, come Consiglio dell’Università, a come dovrà essere il profilo del suo (o sua) successore?
Ci stiamo pensando. Quello che vogliamo noi è il meglio. Il meglio per la nostra Università e per i nostri studenti. Un rettore o una rettrice in grado di portare avanti questo grande lavoro che è stato fatto dai predecessori e che possa continuare nel solco di quanto è stato incanalato. Puntando sempre sì su uno sviluppo quantitativo, ma soprattutto qualitativo.
E per quanto riguarda il bando di concorso?
Uscirà a breve. Non posso ancora dare una data certa, ma posso dire che uscirà. Vogliamo che il tutto avvenga nel modo più trasparente possibile. Con la nuova governance composta, per la prima volta, da un elettorato e da un senato, stiamo andando proprio verso questa direzione. Una cosa che vorrei sottolineare è che la ricerca sarà aperta. Potranno quindi esserci candidature interne come anche esterne.
Vi è già stato qualcuno che ha mostrato interesse a candidarsi?
Questo è ancora un po’ troppo presto per dirlo. Oggi è stato l’ultimo giorno per il rettore Erez. Quando metteremo il bando di concorso e avremo una commissione di nomina a quel momento lì si potrà già vedere. Sono però molto fiduciosa che vi sarà dell’interesse perché la nostra università è molto interessante. Da spazi di manovra che magari, in altre università più grandi non sono possibili, è a misura d’uomo e ha un potenziale enorme.
Il ‘divorzio consensuale’ fra il Consiglio dell’Università e il rettore Boas Erez è stato molto discusso e per molto ha tenuto banco la versione che ciò fosse avvenuto per via delle posizioni assunte da Erez riguardo ai fatti dell’Ex Macello o alla gestione della pandemia. Visto quanto successo, questo può in qualche modo scoraggiare certi profili magari più indipendenti?
Non penso proprio, perché non sono stati questi i motivi determinanti nelle scelte che abbiamo fatto. Del resto lo abbiamo sempre affermato: la politica non c’entra nulla. Come non c’entrano i Molinari, il Macello, le misure che ha preso per il Covid. Sono tutte scelte fatte dal rettore, sono scelte alternative ma, assolutamente, nulla di tutto ciò riguarda la decisione di terminare consensualmente il mandato di rettore in capo a Boas Erez.
Secondo lei, visti anche gli anni di esperienza, qual è il ruolo di un rettore, e più in generale, di un’università all’interno di una società?
La domanda tocca in parte anche ciò che abbiamo trattato al dies academicus. In quei frangenti (riferendosi alla questione del Mulino, ndr.) sono intervenuto e mi sono posizionato in qualità di intellettuale. Intellettuale da intendersi come persona che riflette, utilizzando mezzi di analisi coltivati da anni di studi e di esperienza. Una persona quindi che aveva l’opportunità di esprimersi e l’ha fatto anche per una questione di coraggio civile. Da persona abituata a parlare in pubblico, non ho avuto paura di esprimere il mio pensiero. Molte persone mi hanno poi contattato e fatto sapere che condividevano la mia linea, che avevano apprezzato il mio metterci la faccia. Erano contenti che qualcuno avesse dato voce ai loro pensieri. Quindi in questo senso, essendo un personaggio pubblico mi sono trovato nella situazione di poter parlare e dare a mio modo un contributo e dire: esiste anche questo modo di vedere le cose.
Con l’università ho affrontato la questione e, per tanti versi, quello che ho fatto non è per nulla in contraddizione con quello che cerchiamo di fare all’università. Coerenza c’è stata, però alla fine è chiaro che non era più possibile fare la differenza fra quello che era il rettore e l’oratore.
Questo ha comportato diverse critiche
Una sola. Mi è stato detto che non potevo farlo perché rettore di un’università, come a dire che dovevo limitarmi a fare il direttore e basta. Questo mi è un po’ dispiaciuto perché non si è mai entrati nel merito della discussione. Il mondo accademico e, più in generale la scuola, fanno parte della società. Quindi perché in una tematica come l’autogestione, che tocca l’interesse di più sezioni della società, non ci possiamo esprimere?
Ma lei si era proposto come mediatore.
In realtà no, non l’ho mai fatto. Tutto ciò che ho detto è che Lugano deve potersi permettere degli spazi dove potersi esprimere in maniera diversa senza che ci sia un controllo esagerato. Semplicemente questo.
Qual è la cosa più importante o per il quale va più vero in questi sei anni a capo dell’Usi?
Le soddisfazioni sono state tante e, ora come ora, non ho un progetto o momento in particolare. Questi sei anni, sia per me sia per l’università, sono stati un continuo crescendo. Ecco, forse però da citare ci sarebbe il progetto della casa della sostenibilità di Airolo. Un bel lavoro e un piccolo gioiellino.
Tornando sulla fine di questo rettorato e sul perché ci sia stata questa rottura fra lei e il Consiglio dell’Usi. Cosa ci può dire? È stato un divorzio consensuale legato alla gestione o c’è dell’altro?
Posso capire la sua frustrazione come giornalista nel vedere quel comunicato stampa, molto stringato. Però quel comunicato è concordato e contiene la risposta alla sua domanda. Ci sono delle vere divergenze che riguardano la gestione dell’amministrazione. Per qualcuno questo può essere un dettaglio, per altri invece qualcosa di importante. Però confermo, le divergenze nascono da lì, non da fattori esterni. Poi se questo rende necessario questa separazione, posso anche dirle di no. Di fatto però le cose sono andate così.
Lei vuole restare all’Usi oppure ha altri progetti per il futuro?
La mia intenzione sincera è quella di restare. Da rettore passerò all’insegnamento, cosa che qui non ho mai potuto fare per questioni di scarso tempo. Ricomincerò a insegnare (ride).
Da domani è un altro giorno… cosa cambierà per lei?
Un’agenda più leggera e più tempo per me.