Importante decisione della Corte di giustizia dell’Ue sulle nuove tecniche quali Crispr, sottoposte agli stessi controlli degli Ogm tradizionali
C’è chi festeggia lo sventato tentativo di imporre organismi geneticamente modificati nei campi e piatti europei e chi invece teme per il futuro del settore agroalimentare europeo. In mezzo, la sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea chiamata a esprimersi, come spesso accade, su una questione tecnica e arzigogolata del diritto ma dalle implicazioni importanti – anche per la Svizzera, come si dirà.
“Gli organismi ottenuti per mutagenesi costituiscano Ogm ai sensi dell’articolo 2 della direttiva 2001/18, benché siano esentati in forza dell’articolo 3” è la domanda che il Consiglio di Stato francese ha posto alla giustizia europea. Al di là dei tecnicismi, la questione è come considerare, per le complesse normative europee sugli Organismi geneticamente modificati, alcune nuove tecniche tra cui l’editing genetico, il cosiddetto “taglia e incolla del Dna” che negli ultimi anni ha rivoluzionato il settore delle biotecnologie, dall’agroalimentare al biomedico. Questa tecnica, nota come Crispr (da leggere crisper”) è estremamente versatile e precisa e permette di “correggere” – da qui il ricorso alla metafora redazionale dell’editing – anche singole lettere del Dna. Senza fare ricorso a pezzi del genoma di altre specie, come accade con le tecniche tradizionali di ingegneria genetica sviluppate negli anni Settanta.
Crispr è una tecnica potente e dalle mille applicazioni, dalla cura di malattie genetiche nell’uomo alla realizzazione di piante resistenti a malattie o alla siccità – o agli erbicidi.
Abbiamo quindi una tecnica completamente nuova: se prima l’approccio standard per dare a una pianta nuove caratteristiche era prendere un gene estraneo e inserirlo nel suo Dna, ora – almeno in alcuni casi – possiamo semplicemente modificare direttamente, e con precisione, il genoma della pianta.
Il problema è: come consideriamo questa nuova tecnica? È Ogm o no?
La domanda, in apparenza scientifica, è in realtà squisitamente giuridico-politica. Da millenni l’uomo modifica – indirettamente o direttamente – il genoma di piante e animali che lo circondano, ma solo quelle modificate con alcune tecniche sono “ufficialmente” Organismi geneticamente modificati, con tutto quello che ne consegue: complessi e costosi iter per l’approvazione, contrarietà dell’opinione pubblica.
La definizione dell’Unione europea rispecchia questa situazione – e questa confusione –, con una definizione generale, un primo elenco di tecniche che sono sicuramente Ogm, un secondo elenco di tecniche che, pur modificando il Dna, non sono Ogm e un terzo elenco di tecniche cui la direttiva europea non si applica.
Come consideriamo l’editing genetico? Di per sé sarebbe assimilabile alla mutagenesi – l’induzione di una mutazione – che sarebbe esclusa dalla direttiva. Ma bisognava aspettare la decisione di un giudice perché – parafrasando il celebre allenatore Boškov come hanno fatto Dario Bressanini e Beatrice Mautino nel loro saggio ‘Contro natura’ (Rizzoli) – “Ogm è quando l’arbitro fischia”. E in questo caso ha fischiato, introducendo un’eccezione all’eccezione: pur essendo mutagenesi, l’editing genetico è Ogm.
Le associazioni ambientaliste esultano – almeno alcune: per altre Crispr era una via “verde” alle biotecnologie. E appunto si teme che le pesanti normative sugli Ogm affossino la ricerca biotecnologica europea, lasciando nei cassetti molti prodotti utili.
Per valutare gli effetti ci vorrà tempo. Soprattutto in Svizzera – che adotta una definizione diversa. Il Consiglio federale deciderà entro l’anno come considerare l’editing genetico, certamente tenendo anche conto della sentenza europea.