Società

Niente Sanremo senza Tano

Sogno o son Festival / Uno sguardo poco dietro il cantante: il sarto del Festival e l'Orchestra Sinfonica

10 febbraio 2018
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C’è un Sanremo che si esibisce lontano dai riflettori, ma che sotto le luci della celebrità prende posto con piccole cose come ago e filo. La sartoria è una disciplina come il canto, soltanto che si svolge mezzo chilometro più indietro dell’Ariston e non prevede l’utilizzo di musicisti. Sebastiano Corso è sanremesemente noto come Tano dei cantanti. Che è sì un nome d’arte, ma non ha nulla a che vedere con Mal dei Primitives o Ruggero dei Timidi. Tano dei cantanti è il sarto di Sanremo, e il suo negozio in via Roma, ‘L’ago d’oro’, ha visto passare i vestiti di tutti.

«Mi chiedono di controllare che tutto vada bene, ed eventualmente di ritoccare dove serve». Calabrese di nascita («Si sente, vero?»), le sue vetrine sono un piccolo Ariston della sartoria, nelle quali non sono esposte né vestiti, né camicie. Nemmeno una tasca. In quella che dà su via Roma c’è un’immagine del sarto con il conterraneo Mino Reitano; su quelle che fiancheggiano il piccolo corridoio che porta al laboratorio, decine di stelle con gli abiti cuciti (o rettificati) da lui, big ed ex giovani promesse (spicca una Irene Grandi con riga da parte e il Cristicchi vincente). Più un paio di monumenti (Cutugno e Little Tony).

«Ieri abbiamo fatto qualche intervento per Armani. Oggi c’è qualcosa da fare per Ferragamo». Gli artisti arrivano, entourage al seguito e abiti al seguito. Poi, quando un orlo si sbecca, il cavallo è troppo basso o una spalla ‘se ne scende’, chiamano il pronto intervento. E Tano, come i Ghostbusters, fa sparire l’entità. «Ho cominciato con Mike Bongiorno, poi Pippo Baudo e tutti gli altri». Fino a che è esistita la sartoria dell’Ariston, durante il Festival il Nostro ha lavorato dall’interno. Annuisce quando gli riportiamo episodi di letteratura festivaliera nei quali si raccontano gli storici colpi bassi tra cantanti, gli abiti rubati, le cerniere manomesse ed imbrattamenti vari. Problemi con qualcuno? «No, nessuno ha mai avuto troppe pretese. Gli inconvenienti, invece, sì», continua Tano. «Non ricordo che edizione fosse. Pippo Baudo volle tutta l’orchestra in frac. La dirigenza ne trovò uno di Armani e ne commissionò 56 a una ditta di Napoli. Quando il lunedì del Festival arrivarono i pacchi, li aprimmo e ci accorgemmo che si trattava di quei frac particolari che si fanno a Napoli, dal taglio specifico per i funerali. In un giorno li smontai tutti, e alle 21 era tutto pronto. Ricordo che tornai a casa a piedi, perché le strade erano troppo affollate. Mi misi sul divano, morto di fatica. Arrivò una telefonata dalla Rai per ringraziarmi. Fu davvero una bella soddisfazione».

Tano, il sarto dei cantanti, a modo suo, è entrato nell’immaginario collettivo anche più di recente. «Ho fatto io il vestito da angelo per Piero Chiambretti (1997, ndr). Ho costruito io il meccanismo per lo sketch con Valeria Marini, che scendendo le scale svelava una coscia. Abbiamo attaccato un amo al vestito, e il filo l’abbiamo dato in mano a Piero. Man mano la Marini scendeva, il vestito saliva». Tutto questo prima del noto tatuaggio. Tano, ce lo racconta un altro aneddoto? «Una cantante rimase senza collant. Le altre donne in gara negarono di averne un paio in più. Mentivano, perché al tempo non c’era una sola donna senza un paio di collant. Orietta Berti mise a disposizione le sue. Una vera signora».

Dalle 10.30 alle 24, orario continuato

La storia la ricorda anche per il lancio di spartiti al Festival del 2010, per protesta contro l’eliminazione di Malika Ayane a favore dell’improponibile trio Pupo, Principe più Tenore. Ma ogni anno, a un certo punto della kermesse, qualcuno si ricorda di tributare all’Orchestra di Sanremo un necessario inchino.

Veste di bianco, quella del 2018. Disposta ai lati del palco, gli strumentisti si guardano in faccia. A sinistra, l’ensemble sinfonico; a destra, la parte ritmica. «Geoff Westley, quest’anno, vuole il meglio da loro. L’attenzione è massima». Westley è il braccio destro artistico di Capitan Baglioni. Chi parla, invece, è Paolo Maluberti, direttore generale della Fondazione Orchestra Sinfonica di Sanremo. «La base di quest’orchestra è la più antica d’Italia, risale al 1905». Un’orchestra dal doppio organico, quello festivaliero e quello prettamente sinfonico.

«Ogni anno, a gennaio, si inizia da Roma per 11 o 12 giorni di prova. Poi, tutti qui», racconta Maluberti. Che fornisce dettagli sull’entità dell’impegno: «Il primo violino, in particolare, quest’anno è sollecitato più di altri strumenti». Così, quando quattro ore di Festival ci sembrano un’eternità, pensiamo a loro: «Dalle 10.30 a mezzanotte, sempre pronti. Può imma