In Francia un gruppo di donne, tra cui Catherine Deneuve, attacca l’onda puritana del movimento di denuncia di molestie sessuali
Non è la prima volta che si riflette pubblicamente sugli eccessi del movimento #metoo, se la nuova sensibilità verso molestie e abusi seguita dallo scandalo Weinstein non rischi di trasformare l’indifferenza in ossessione, condannando comportamenti maldestri ma legittimi e confondendo atteggiamenti inopportuni con veri e propri crimini. Poco meno di un mese fa l’attore Matt Damon era stato accusato di voler spiegare alle vittime quanto devono sentirsi violate perché, in un’intervista, aveva affermato che “c’è differenza tra allungare le mani e stuprare: dobbiamo affrontare e mettere fine a entrambi, ma senza confonderli”.
Il testo pubblicato nei giorni scorsi da ‘Le Monde’ porta però il dibattito a un altro livello, nel bene e nel male. Un appello contro quella che viene definita “onda puritana” scritto da Sarah Chiche, Catherine Millet, Catherine Robbe-Grillet, Peggy Sastre e Abnousse Shalmani e firmato, tra gli altri, da Catherine Deneuve.
Tutte “false femministe”, secondo le reazioni al manifesto, alcune delle quali decisamente sopra le righe – invitando anche a molestare le firmatarie perché “a priori non dovrebbe dar loro fastidio” – che rendono adesso difficile, se non impossibile, discutere serenamente del tema. Cosa di cui ci sarebbe bisogno, anche perché gli argomenti delle “false femministe” sono tutt’altro che estranei alla storia del femminismo, e anzi sono parte della cosiddetta “terza ondata” che, a partire dagli anni Novanta, si è – tra le altre cose – contrapposta al femminismo radicale rivalutando la femminilità e, soprattutto, la sessualità. Nell’appello di ‘Le Monde’ lo si legge chiaramente: “In quanto donne non ci riconosciamo in questo femminismo che, al di là della denuncia degli abusi di potere, assume il volto dell’odio verso gli uomini e la sessualità”.
La contrapposizione tra queste diverse anime rispunta periodicamente, soprattutto quando si tratta di manifestazioni pubbliche: negli Stati Uniti c’era chi non voleva spogliarelliste alla marcia delle donne, e alcune femministe italiane volevano bandire gli uomini da analoghe manifestazioni contro la violenza sulle donne.
“Lo stupro è un crimine. Ma il corteggiamento insistente o maldestro non è un reato”. Inizia così il testo pubblicato da ‘Le Monde’ che certo affronta il tema della “campagna di delazioni e accuse pubbliche di persone che, senza che si lasci loro la possibilità né di rispondere né di difendersi, vengono messe esattamente sullo stesso piano di violentatori”, ma non si limita a criticare il movimento #metoo per il rischio di giustizia sommaria.
Il punto centrale è infatti un altro e riguarda appunto la libertà sessuale per garantire la quale, si argomenta, è necessaria la libertà di importunare, da intendere non come libertà di molestia ma, se vogliamo, di proposta anche non gradita. Proposta che si può rifiutare senza sentirsi ferite perché – e questo forse è il punto più importante del testo – il puritanesimo che vede in ogni iniziativa sessuale una minaccia di fatto incatena le donne a uno stato di eterne vittime. “Una donna, oggi, può vigilare affinché il suo stipendio sia uguale a quello di un uomo, ma non sentirsi traumatizzata per tutta la vita se qualcuno le si struscia contro nella metropolitana, anche se questo è considerato un crimine”.
Alla base c’è l’idea che “la pulsione sessuale [sia] per natura offensiva e selvaggia” che può lasciare un po’ perplessi e che a suo modo mette in evidenza uno dei limiti di questo “manifesto dell’importunare”: il consenso. Le autrici affrontano il tema solo di sfuggita, trovando assurda l’idea che prima di un qualsiasi rapporto sessuale le persone coinvolte diano esplicitamente il loro assenso, magari per iscritto (ci sono addirittura app per smartphone che se ne occupano). Nondimeno, uno spazio al consenso, e soprattutto al dissenso, occorre trovarlo.